«Non c’è alcuna volontà punitiva da parte del governo e credo sia da rivedere una certa criminalizzazione dei dipendenti pubblici che c’è stata in passato. Bisogna dare atto al pubblico impiego di avere contribuito alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica con una contrazione di 300.000 unità e retribuzioni ormai allineate a quelle del settore privato. Tuttavia, il blocco non si poteva evitare perché per riaprire i contratti servono 7 miliardi e non sono nella nostra disponibilità. La situazione è oggettivamente difficile. Ma alcuni passi in avanti li possiamo fare».
Quali?
«Prima dell’estate intendo convocare l’Aran e i sindacati per aprire la contrattazione sulla parte normativa dei contratti. Su questo vi è un ampio sostegno politico nella maggioranza e anzi vi è un invito esplicito a farlo nel parere con cui il parlamento ha dato il consenso al blocco delle retribuzioni».
E le risorse? Che spazi ci sono?
«Penso che si possa sostenere e ampliare la contrattazione di secondo livello. Lì è possibile recuperare risorse, dalle procedure di spending review, per migliorare la produttività partendo dalle amministrazioni centrali e poi allargando le intese a livello locale. Inoltre è fondamentale riavviare un circuito virtuoso di relazioni sindacali che il blocco dei contratti, di fatto, ha finito per interrompere. Un percorso di confronto e di consenso è necessario per attuare le riforme».
L’altro grande capitolo aperto è quello dei 250.000 precari. Tolti i 130.000 della scuola, che fine faranno gli altri?
«Il governo è già intervenuto con una proroga a fine anno. Ora, con un confronto ampio con Parlamento, autonomie locali e organizzazioni sindacali, dobbiamo risolvere definitivamente, nell’arco di 3 anni, il problema del precariato e, con la graduale ripresa del turn over, recuperare i vincitori dei concorsi che non sono stati mai immessi in servizio. Ne abbiamo già discusso nell’ultima riunione del consiglio dei ministri. Sto lavorando ad una proposta che il governo varerà nel giro di poche settimane e comunque prima della chiusura estiva o si rischia di non riuscire ad attuare le procedure entro fine anno».
E la questione delle piante organiche nei ministeri? Ha fatto passi avanti?
«I ministeri dell’Economia, Università e Ricerca, Istruzione e Presidenza del Consiglio sono più avanti. Le altre amministrazioni stanno avviando la riorganizzazione e devono allineare i servizi al taglio delle piante organiche. Certo, il periodo delle elezioni e la nomina del nuovo governo hanno in parte rallentato il processo. Ora si riparte. Due settimane fa ho sollecitato i ministeri ad inviare le loro risposte. Intanto ho sospeso le nomine dei dirigenti che la spending review impone di ridurre del 20%. Quindi le amministrazioni sanno che se non andranno avanti con il lavoro, le nomine non arriveranno».
Mobilità e piante organiche nella Pa. A che punto siamo?
«Abbiamo oltre 7.000 esuberi rispetto alle nuove piante organiche. Il 40% sarà assorbito attraverso i prepensionamenti, il resto attraverso la mobilità che è volontaria entro un certo limite perché chi non accetta di essere ricollocato in altre amministrazioni, si avvia poi verso la graduale procedura di uscita. Stiamo lavorando per definire criteri di mobilità condivisi da sindacati e dipendenti, ma poi bisogna decidere».
Le semplificazioni da poco varate porteranno nuovi esuberi?
«Il decreto del fare e il disegno di legge sulle semplificazioni sono prioritariamente mirati a ridurre i carico dei costi per le imprese: circa 500 milioni l’anno se il decreto sarà integralmente attuato e 3 miliardi di risorse in più per investimenti per effetto del Ddl. Ci auguriamo che siano approvati in Parlamento tra luglio e settembre».
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