Il Ministro della Pubblica Amministrazione nella home page del portale ministeriale (http://www.funzionepubblica.gov.it/) introducendo la sua ultima direttiva – la n. 2/2020 – ricorda che tra le linee di comportamento indirizzate alle amministrazioni vi è un’ulteriore spinta sul lavoro agile che diventa la forma organizzativa ordinaria.
Insomma tutti gli Enti che hanno mancato la scadenza dell’agosto 2018 (i quali, ai sensi dell’art. 14 della l. 124/2015, entro tre anni dalla promulgazione del provvedimento in parola, avrebbero dovuto adottare misure organizzative tese ad introdurre nuove modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione lavorativa – detta in altri termini, avrebbero dovuto introdurre il lavoro agile o smart working – almeno per il 10% dell’ammontare della popolazione dipendente) si trovano oggi nella condizione di dover, con immediatezza, convertire i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro verso la nuova forma indicata nella citata Direttiva.
Il lavoro agile non si inventerebbe con un provvedimento normativo del legislatore nazionale o regolamentare del singolo Ente e, giustamente, il legislatore riformista del 2015 aveva dato tempo 3 anni alle PP.AA. per ripensare i propri modelli di organizzazione del lavoro (pena effetti negativi al momento della misurazione dei livelli di performance organizzativa ed individuale traguardati dalle Amministrazioni e dai datori di lavoro pubblici).
Ora non è più possibile passare dalle costruttive e sequenziali fasi di sperimentazione, check, consolidamento e generalizzazione, ma bisogna solo attuarlo sul maggior numero possibile di dipendenti degli Enti. Restano fuori dal massiccio ricorso allo smart working…
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