La Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 11008 del 9 giugno 2020 ha ritenuto legittimo il collocamento a riposo, dando la facoltà (o, meglio, l’obbligo) all’azienda sanitaria di risolvere il contratto di lavoro una volta che il dipendente avesse raggiunto il sessantacinquesimo anno di età, a prescindere dall’anzianità di servizio, e in difetto della domanda di trattenimento in servizio per un biennio.
Il caso in questione si riferisce ad un dirigente medico con contratto a tempo determinato ex art. 15-septies del d.lgs. 502/1992 a cui nel 2008 era stato risolto l’incarico prima della sua prevista scadenza in considerazione che lo stesso avesse compiuto sessantacinque anni e non avesse prodotto la domanda finalizzata a rimanere in servizio fino al compimento dell’età di 67 anni, in applicazione dell’art. 16, comma 1 del d.lgs. 503/1992, all’epoca ancora vigente. Inizialmente la Corte di appello, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva accolto la domanda del dirigente per illegittima risoluzione anticipata del contratto. In particolare i giudici di appello avevano puntato su due elementi: l’inapplicabilità dell’istituto del collocamento a riposo obbligatorio ai dirigenti ex art. 15-septies e la contestuale inapplicabilità dell’art. 15-nonies ai medesimi in quanto tale norma è applicabile – oltre che alla dipendenza – soltanto al personale a rapporto convenzionale per il mancato espresso richiamo ai contratti a tempo determinato (sic!). Le conclusioni della Corte di Appello si basavano su evidenti travisamenti della normativa.
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