Pochi giorni fa è stata depositata una sentenza della Suprema Corte che rilancia un importante principio in tema di rapporto di lavoro subordinato, quello della tutela della salute del lavoratore e della correlata responsabilità del datore di lavoro. Il tema è particolarmente importante in sanità sia per l’ordinaria amministrazione – peraltro già fortemente critica – ma ancor di più in relazione alla pandemia e ai suoi aspetti successivi. Con l’
ordinanza n. 18132 del 31 agosto 2020 la Cassazione Civile, Sez. Lavoro, ha definitivamente sancito che l’
art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva piena, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra e, solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. E’ stato così ribaltato il giudizio di 1° grado – già riformato in appello – che aveva riconosciuto ad una lavoratrice un indennizzo a titolo risarcitorio senza però indagare concretamente sul comportamento datoriale. Il principio era consolidato da tempo e viene citata una copiosa giurisprudenza all’interno della quale si ricava che va esclusa la possibilità di ricavare dalla norma citata l’obbligo del datore di adottare ogni cautela possibile ed innominata, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a prevenire ogni evento lesivo. La norma del codice civile in questione riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. Tuttavia la sola e semplice violazione di clausole contrattuali costituisce in modo evidente una forma di responsabilità datoriale perché verrebbe realizzato il nesso tra attività lavorativa e danno e il lavoratore può agevolmente fornire la prova di tali circostanze dimostrando le inadempienze contrattuali. Sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi; ma se tali obblighi sono stati ripetutamente e oggettivamente violati è quasi impossibile che il giudice escluda la responsabilità del datore di lavoro.
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