È questa la modalità individuata dal ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, per applicare la riforma Fornero ai contratti a termine nella p.a.
Il titolare del dicastero di corso Vittorio Emanuele ha già inviato all’Aran una direttiva per dare avvio alle trattative.
E il primo incontro tra le parti è avvenuto il 14 febbraio scorso.
Ma si è trattato di una riunione meramente interlocutoria.
La trattativa vera e propria inizierà invece il 28 febbraio prossimo.
La direttiva fissa una serie di paletti di cui le parti dovranno tenere conto nel corso delle trattative.
In primo luogo la funzione pubblica ha fatto presente che, con l’avvento dell’art.
1 della legge 15/2009, la contrattazione collettiva non può più derogare le norme di legge.
A meno che non sia la legge stessa a prevederlo espressamente.
E poi ha ricordato che il tavolo negoziale non potrà pronunciarsi sulle prerogative dirigenziali, ma solo sulla disciplina del rapporto di lavoro flessibile.
Resta fermo, in ogni caso, il divieto di conversione dei contratti a termine.
Perché ciò è previsto espressamente dall’articolo 36 del decreto legislativo 165/2001.
Quanto agli aspetti sostanziali della trattativa, palazzo Vidoni ha stabilito che le parti potranno intervenire in materia di definizione dei limiti quantitativi di utilizzo dei contratti a termine.
In più potranno anche individuare deroghe al divieto di utilizzo dei contratti a termine in assenza di esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Specie nel caso dell’avvio di una nuova attività, del lancio di un servizio innovativo, dell’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico.
Oppure di progetti di ricerca o nel caso di rinnovo di un contributo finanziario consistente.
Ma sempre senza eccedere la quota del 6% dell’organico complessivo dei lavoratori.
Le parti potranno anche ridurre i termini dell’intervallo tra un contratto a termine e l’altro, senza che scattino le sanzioni per l’amministrazione.
E potranno anche decidere di portare fino a un massimo di cinque anni il limite temporale della reiterazione dei contratti, ordinariamente fissato a 36 mesi.
Il tavolo negoziale potrà prevedere in via ordinaria la possibilità di consentire la stipula di un ulteriore contratto a termine dopo i 36 mesi.
A patto che venga stipulato presso la direzione del lavoro con l’assistenza di un dirigente sindacale.
Infine, le parti dovranno avere cura di specificare che nel limite dei 36 mesi rientrano anche i periodi di missione in mansioni equivalenti.
In buona sostanza, dunque, la contrattazione collettiva dovrà terminare il lavoro avviato dal governo per rivisitare la disciplina dei contratti a termine nella p.a.
E al tempo stesso dovrà cercare di trovare una soluzione al problema dei precari triennalisti che non riusciranno a superare i concorsi.
Vale a dire: i precari che hanno maturato 36 mesi di lavoro per effetto della reiterazione dei contratti a termine, che non possono essere stabilizzati per legge e che rimarranno fuori dalla quota di riserva.
E cioè da quel 40% di posti loro riservati dalla legge di stabilità in vista dei prossimi concorsi.
Perché anche se si potesse procedere all’indizione e all’espletamento dei concorsi in tempi stretti, i posti comunque non sarebbero sufficienti per tutti.
I precari che lavorano nella p.a., infatti, sono circa 260 mila (di questi, 135 mila lavorano nella scuola).
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