In effetti, attraverso una fonte regolamentare interna (integrata dalla legge n. 190/2012) è possibile disciplinare le modalità operative finalizzate all’espletamento di un’attività extra ufficio, salva per i casi nei quali direttamente la legge ne dispone, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, i divieti (comma 3 bis). A ben vedere, la normativa non vieta l’espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall’Amministrazione di provenienza, ovvero da questa “preventivamente autorizzati”, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio. Giova evidenziare che la mancata autorizzazione preventiva comporta l’avvio di un procedimento disciplinare che può giungere alla dichiarazione di decadenza dall’impiego, in relazione al venir meno del rapporto di fiducia tra lavoratore e parte datoriale pubblica, la quale viene estromessa dal potere-dovere di conoscere le cause dell’incompatibilità/inconferibilità (e avviare, se del caso, il relativo procedimento disciplinare).
La fonte interna
Nel regolamento viene stabilita la “misura”, attraverso un’attività istruttoria, tale da poter escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della Pubblica Amministrazione (ex art. 97 Cost.) o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi (ex art. 6-bis della legge n. 241/1990), che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni (e dei poteri) attribuite al dipendente (ex comma 5).
Il regolamento sull’affidamento di incarichi effettuati direttamente dall’Amministrazione di appartenenza o da parte di terzi deve stabilire, «secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità», le condizioni utili per autorizzare o vietare la prestazione, esponendo in chiaro le attività possibili e quelle escluse, anche (in relazione alle cd. buone pratiche) quelle che vanno semplicemente comunicate e non richiedono autorizzazione alcuna (quelle cd. libere), osservando su questo ultimo aspetto, in base al principio del non aggravamento (ex art. 1, co. 2, della legge n. 241/1990), la mancata comunicazione si allinea al principio di leale collaborazione e trasparenza privo di sanzione.
L’ambito applicativo
Il comma sesto si occupa di definire l’operatività della disciplina sulle autorizzazioni, stabilendo che i commi dal sette al tredici si applicano ai dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, secondo le inclusioni di cui all’articolo 1, co. 2, compresi quelli di cui all’articolo 3 (personale in regime di diritto pubblico) con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali, osservando che – in ogni caso – non sono esenti dal rispetto dei limiti e divieti dei commi precedenti, dovendo, conseguentemente, per l’attività svolta (al di fuori dell’orario di servizio) comunicare la natura della prestazione finalizzata ad escluderne le cit. incompatibilità o la presenza del conflitto di interessi.
***************
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento