La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 32589 del 4 novembre 2022, ha rigettato il ricorso di alcuni infermieri di una Asl , volto ad ottenere dalla datrice di lavoro il rimborso delle spese sostenute per l’iscrizione all’albo professionale, poichè la normativa relativa alla professione infermieristica, diversamente da quanto si riscontra per la professione forense, non contiene un divieto assoluto di compimento degli atti tipici dell’attività infermieristica al di fuori del rapporto di impiego, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo, che è condizione necessaria per l’esercizio di quell’attività , non si può ritenere imposta dal legislatore nel solo interesse del datore di lavoro pubblico.
Per la Cassazione, l’esercizio della professione di avvocato in favore di terzi da parte del dipendente pubblico rientra fra le attività che in nessun caso sono consentite, di tal chè l’iscrizione all’elenco speciale non può che soddisfare unicamente l’interesse del datore, mentre non altrettanto può dirsi per le altre professioni intellettuali, ed in particolare per quella infermieristica, consentite ai dipendenti part time nonché, nelle ipotesi di incarichi che rispondano ai requisiti di legge, previa autorizzazione del datore.
Premessa
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7776 del 16 aprile 2015, in difformità da diverse pronunce emesse in sede di controllo da diverse sezioni della Corte dei Conti, nelle quali è stato qualificato l’obbligo di corresponsione della tassa per l’iscrizione come strettamente personale, essendo legato all’integrazione del requisito professionale necessario per svolgere il rapporto con l’ente pubblico, decidendo una controversia instaurata da avvocati dell’INPS, stabilì che ”Il pagamento della tassa annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo degli avvocati, per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo dell’Ente datore di lavoro, rientra tra i costi per lo svolgimento di detta attività, che, in via normale, devono gravare sull’Ente stesso. Quindi, se tale pagamento viene anticipato dall’avvocato-dipendente deve essere rimborsato dall’Ente medesimo, in base al principio generale applicabile anche nell’esecuzione del contratto di mandato, ai sensi dell’art. 1719 c.c., secondo cui il mandante è obbligato a tenere indenne il mandatario di ogni diminuzione patrimoniale che questi abbia subito in conseguenza dell’incarico, fornendogli i mezzi patrimoniali necessari”.
Il Tribunale del Lavoro di Milano, con sentenza n. 1161/2016, specificò che è da ritenere previsto ”l’obbligo dell’Ente datore di lavoro di rimborsare all’avvocato pubblico dipendente la tassa annuale di iscrizione all’Elenco speciale annesso all’Albo degli avvocati, per l’esercizio della professione forense, nell’interesse esclusivo dell’Ente datore di lavoro. Detti principi, tuttavia, risultano affermati con riferimento alla professione forense, per la quale è vigente una normativa specifica (legge n. 339 del 2003) che inibisce al pubblico dipendente, anche assunto a tempo parziale, qualsiasi forma di esercizio libero professionale dell’attività di avvocato, a tutela sia dell’imparzialità e buon andamento della PA., sia dell’indipendenza della professione forense (sulla ratio e perdurante vigenza della citata normativa v. Cass. SU n. 775/2014).”
La sentenza così proseguiva” I richiamati principi non paiono estensibili alla professione infermieristica svolta alle dipendenze di un Ente pubblico, posto che detta professione-per la quale, peraltro, non si pongono esigenze di tutela dell’indipendenza analoghe a quelle relative alla professione forense-non è sottoposta a un vincolo di esclusività di mandato di tenore analogo rispetto a quello previsto per gli avvocati dipendenti di Enti pubblici (in tal senso v. Trib. Alessandria, 15.1.2015, resa in fattispecie identica alla presente).”
Nella stessa direzione veniva richiamato il parere reso dal Consiglio di Stato il 15 marzo 2011 nell’affare n. 678/2010, che ha chiarito che “i costi per lo svolgimento di detta attività(n.d.r. dell’attività professionale svolta alle dipendenze della PA.) dovrebbero… al di fuori dei casi in cui è permesso svolgere altre attività lavorative, gravare sull’amministrazione che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività, con ciò specificando che il diritto al rimborso delle spese d’iscrizione all’albo sussiste solo ove, e nella misura in cui, non sia permesso al dipendente pubblico iscritto all’albo professionale svolgere altre attività diverse da quelle in favore dell’Ente di appartenenza”.
La vicenda
La Corte d’Appello di Torino respingeva il ricorso di alcuni dipendenti dell’Asl di Alessandria volto ad ottenere dalla datrice di lavoro il rimborso delle spese sostenute per l’iscrizione all’albo professionale degli infermieri.
La Corte territoriale aveva escluso che l’iscrizione all’albo professionale, resa obbligatoria dall’art.2, comma 3, della legge n.43/2006 anche per i dipendenti pubblici, rispondeva ad un interesse esclusivo del datore di lavoro, perché, diversamente da quanto accade per gli avvocati degli enti pubblici, l’attività infermieristica non comporta un obbligo assoluto di esclusività. Gli infermieri, infatti, a differenza degli avvocati, potenzialmente possono svolgere prestazioni libero professionali presso terzi, pubblici o privati, prestazioni aggiuntive programmabili e prestazioni in equipe. Per il giudice d’appello priva di rilievo era la circostanza che di fatto gli appellanti non si fossero avvalsi della possibilità, concessa dal legislatore e dal datore di lavoro, di svolgere ulteriori attività.
La Corte distrettuale aggiungeva che il legislatore, nel prevedere l’obbligatorietà dell’iscrizione, aveva anche previsto che l’attuazione della nuova normativa non avrebbe dovuto comportare alcun onere aggiuntivo a carico della finanza pubblica (art.7, comma 3, della legge n.43/2006) ed aveva ravvisato nel principio del necessario contenimento della spesa un’ulteriore ragione ostativa all’accoglimento della pretesa.
I dipendenti dell’ASL proponevano, quindi, ricorso per la cassazione della sentenza, sulla base di due motivi, articolati in più punti, ai quali opponeva difese con controricorso la ASL di Alessandria.
Viene evidenziato nel ricorso che al dipendente pubblico assunto a tempo pieno è fatto divieto di esercitare attività libero professionale e viene richiamata giurisprudenza della Corte Costituzionale per sostenere che al personale infermieristico non è applicabile la disciplina con la quale è stato consentito ai soli dirigenti medici e sanitari di rendere prestazioni libero professionali in regime di intramoenia. Aggiungono che anche le cosiddette prestazioni aggiuntive, disciplinate dall’art.1 del d.l. n. 402/2001, sono eseguite nell’interesse del Servizio Sanitario Nazionale e, quindi, del datore di lavoro. Precisano che l’assunzione a tempo pieno non è compatibile con l’autorizzazione a svolgere attività lavorativa in favore di terzi, sia per ragioni di carattere temporale, sia in quanto quella attività determinerebbe una situazione, quanto meno potenziale, di conflitto di interessi. Rilevano che la Corte distrettuale ha violato anche i regolamenti aziendali, che ribadiscono il principio di esclusività e consentono al personale infermieristico solo di collaborare, al di fuori dell’orario di servizio, all’esercizio dell’attività libero professionale, consentita ai dirigenti medici. Deducono, inoltre, che il personale assunto a tempo pieno è tenuto al rispetto dell’orario massimo di lavoro fissato dalle norme richiamate in rubrica, il che impedisce allo stesso di svolgere qualsiasi ulteriore attività. In via conclusiva asseriscono che il diritto al rimborso deve essere riconosciuto per le medesime ragioni per le quali questa Corte ha ritenuto che debbano gravare sul datore di lavoro le spese di iscrizione all’albo speciale degli avvocati dipendenti di enti pubblici.
Riprendendo argomenti già sviluppati con la prima censura, i ricorrenti sostengono, altresì, che agli esercenti la professione infermieristica devono essere estesi i medesimi principi che valgono per gli avvocati degli enti pubblici, giacchè la Carta Costituzionale, da un lato, assegna particolare rilievo al diritto alla salute, dall’altro impone alle amministrazioni pubbliche di garantire imparzialità, efficienza e legalità dell’azione amministrativa. Ne traggono, quale conseguenza, il carattere discriminatorio della disparità di trattamento che si realizzerebbe qualora non fosse riconosciuto il diritto al rimborso delle spese che gli infermieri, al pari degli avvocati, devono sostenere per l’iscrizione all’albo, che soddisfa esclusivamente un interesse del datore di lavoro. Addebitano, poi, alla Corte distrettuale di non aver pronunciato sulla necessità di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in rilievo e di non avere tenuto in alcun conto la circostanza, non contestata dall’azienda resistente, della durata della prestazione lavorativa resa dai ricorrenti i quali, in quanto assunti a tempo pieno, si trovavano e si trovano nella giuridica impossibilità di svolgere attività libero professionali.
La decisione
Con sentenza n. 32589 del 4 novembre 2022, la Sezione Lavoro della Cassazione rigetta il ricorso in questione, con il quale veniva, sostanzialmente, invocato dagli infermieri l’applicazione del medesimo principio di diritto enunciato dalla Corte con riferimento alla posizione degli avvocati dipendenti di enti pubblici.
La Cassazione, dopo la ricostruzione del quadro normativo che qui viene in rilievo, giacchè l’invocata equiparazione presuppone l’accertamento delle identità delle situazioni a confronto ,ritiene che, nonostante l’obbligatorietà dell’iscrizione, richiesta oggi anche per l’esercizio della professione infermieristica alle dipendenze di datori di lavoro pubblici, non possa essere esteso agli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale l’orientamento, formatosi nella giurisprudenza della Corte a partire da Cass. n. 3928/2007, e ribadito da numerose pronunce successive (Cass. 6877, 6878, 7775 del 2015; Cass. n. 2507/2017; Cass. nn.2285, 27239, 27959 e 28242 del 2018; Cass. n. 13012/2019), secondo cui” il pagamento della quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro è rimborsabile dal datore di lavoro, non rientrando né nella disciplina positiva dell’indennità di toga(art.14, comma 17, d.P.R. n. 43 del 1990) a carattere retributivo, con funzione non restitutoria e un regime tributario incompatibile con il rimborso spese, né attenendo a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense”.
Quel principio, per la Cassazione, muove dal presupposto che per gli avvocati degli enti pubblici, tenuti al rispetto dell’obbligo di esclusività, in quel caso assolutamente inderogabile, le spese di iscrizione all’albo rispondono all’interesse esclusivo del datore di lavoro, in quanto finalizzate unicamente a consentire la difesa in giudizio dell’ente, altrimenti non assicurabile.
La normativa relativa alla professione infermieristica, diversamente da quanto si riscontra per la professione forense, per la Cassazione, non contiene un divieto assoluto di compimento degli atti tipici dell’attività infermieristica al di fuori del rapporto di impiego, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo, che è condizione necessaria per l’esercizio di quell’attività, non si può ritenere imposta dal legislatore nel solo interesse del datore di lavoro pubblico.
Per i giudici della Suprema Corte di Cassazione, l’esercizio della professione di avvocato in favore di terzi da parte del dipendente pubblico rientra tra le attività che in nessun caso sono consentite, di tal chè l’iscrizione all’elenco speciale non può che soddisfare unicamente l’interesse del datore, mentre non altrettanto può dirsi per le altre professioni intellettuali, ed in particolare per quella infermieristica, consentite al dipendente part time nonché, nelle ipotesi di incarichi che rispondano ai requisiti di legge, previa autorizzazione del datore.
Per i giudici di legittimità, non può rilevare la circostanza che i ricorrenti, non avendo optato per il tempo parziale e non avendo richiesto autorizzazione allo svolgimento non continuativo di incarichi professionali, di fatto si siano trovati in una situazione di assoluta esclusività: per la Cassazione, l’individuazione dell’interesse assicurato dall’iscrizione all’albo va, infatti, effettuata sul piano astratto delle norme applicabili alla fattispecie che non consentono di affermare che quella iscrizione sia finalizzata unicamente a soddisfare un’esigenza del datore di lavoro pubblico; tanto basta, per la Corte, per respingere il ricorso e per escludere l’eccepita disparità di trattamento rispetto agli avvocati degli enti pubblici, atteso che le peculiarità proprie della professione forense, se, da un lato, giustificano l’accentuazione dell’obbligo di esclusività rispetto agli altri dipendenti pubblici(Corte Cost. n. 390/2006; Corte Cost. n. 166/2012), dall’altro legittimano un diverso regime di imputazione della spesa sostenuta per l’iscrizione all’albo.
Conclusioni
Correttamente la Cassazione, con la sentenza oggetto del nostro contributo, ha ritenuto che, nonostante l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionale, richiesta oggi anche per l’esercizio della professione infermieristica alle dipendenze di datori di lavoro pubblici, non possa essere esteso agli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale l’orientamento, formatosi nella giurisprudenza della stessa Corte, secondo cui è rimborsabile dal datore di lavoro la quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense: difatti, la normativa relativa alla professione infermieristica, diversamente da quanto si riscontra per la professione forense, non contiene un divieto assoluto di compimento degli atti tipici dell’attività infermieristica al di fuori del rapporto di impiego, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo, che è condizione necessaria per l’esercizio di quell’attività, non si può ritenere imposta dal legislatore nel solo interesse del datore di lavoro pubblico: la disciplina, succedutasi nel tempo, relativa alla professione infermieristica, seppure improntata al rispetto del dovere di esclusività sancito dall’art.98 Cost., ammette, alle condizioni richieste dall’art.53 del d.lgs. n. 165/2001 e dalle leggi speciali, l’esercizio dell’attività libero professionale, consentito, oltre che nei casi di part time rispondente ai requisiti fissati dalla legge n.662/1996, anche per prestazioni aggiuntive(d.l. n.402/2001) e per le attività di supporto all’attività libero professionale in intramoenia.
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