La riforma delle province approvata dal governo con il decreto n. 188 del 5 novembre 2012 e che dovrà essere convertita dal parlamento, rischia di essere inefficace o, ancora peggio, di complicare la vita del sistema Italia che fatica così tanto a funzionare.Al di là della volontà dell’esecutivo e di chi sostiene il provvedimento infatti, è già evidente come sarà impossibile governare una articolazione territoriale in cui si avranno province di 1.800.000 abitanti (Padova-Treviso) altre di 223 mila (La Spezia) accanto a regioni di 319 mila abitanti (Molise) e altre di 10 milioni di abitanti (Lombardia).Come si potranno esercitare le medesime funzioni tra territori così disomogenei per numero di popolazione, pil, tipologia delle produzioni, estensione di chilometri quadrati?Credo sia ora che chi ha responsabilità politica di primo piano si assuma la responsabilità di una riforma istituzionale veloce più complessiva e ancora più incisiva. Se non lo si farà, si intralceranno in modo pesante i risultati ottenuti in economia e non si favorirà certo una nuova crescita.Un neo centralismo, così come si sta profilando dai provvedimenti che vengono assunti, non ci aiuterà. Serve invece maggiore responsabilità da parte dello stato, delle regioni e degli enti locali per realizzare maggiore equità tra cittadini e territori. Si devono ridurre le regioni, ulteriormente le province e accorpare i comuni piccoli. Si devono differenziare in modo netto le competenze tra i diversi livelli istituzionali. Si devono rafforzare i controlli a posteriori sulle responsabilità esercitate, sanzionando chi infrange le regole. Ma quel che serve, innanzitutto, è una visione positiva verso il paese, che non può essere solo punito e depresso. Bisogna saper distinguere tra chi lavora bene e chi lavora male, tra chi è onesto e chi è disonesto, tra Italia che vale e Italia assistita e parassita. Se non si farà questa operazione tutto sembrerà perduto e, alla fine, tutto sarà perduto.Ripartire, nell’organizzazione delle province, dai brand consolidati e di successo, dalla forza dei distretti e delle produzioni e dalle relazioni economiche e culturali potrà consentire a tutto il paese una nuova prospettiva.Emilia è uno dei brand di maggiore successo, unita da storia ed identità, economia, servizi, organizzazione sociale, cultura, infrastrutture.Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza se aggregate, potrebbero dar vita a un ambito di circa 2 milioni di abitanti, un pil che rappresenta circa il 45% del pil regionale e il 4% del pil nazionale, distribuito in comuni con una dimensione media di 10 mila abitanti circa. Se l’Italia fosse tutta così, ci sarebbero già 2 mila comuni in meno. Le quattro province emiliane sono connotate da una popolazione giovane e attiva con un indice di vecchiaia al disotto della media regionale, sono fortissime nell’export, nella manifattura, nella meccatronica e nell’agroalimentare, nel made in Italy, nel numero dei brevetti. Se unite, potrebbero produrre ancora di più ed essere un traino per tutti.Secondo diversi programmi europei esse potrebbero costituire una «Mega», cioè un’area europea forte, in grado di valorizzare produzioni e imprese, creare nuovi posti di lavoro, attrarre finanziamenti e ridurre in modo consistente le spese per far funzionare il territorio. Unire il governo delle infrastrutture, i centri decisionali, le università e la ricerca, le fiere e i centri tecnologici specializzando ogni città secondo le proprie vocazioni, ma dentro un unico ambito, rafforzerà i singoli territori e l’Emilia-Romagna con l’intero Paese.Si può fare, ma ci vuole il coraggio di guardare avanti, di provarci.
Sonia Masinipresidente della Provincia di Reggio Emilia
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