Affilano le armi, i politici di mezza Italia, o di quattro quinti della penisola, poiché solo quelli delle regioni a statuto speciale restano, per ora, esclusi dalla faccenda. Si tratta dell’opposizione al riordino delle province. Il relativo decreto-legge, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lunedì e ora approdato al Senato, sarà oggetto di emendamenti a iosa. Ieri il deputato del gruppo misto, componente «Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia» (probabilmente il partito ha più parole nella denominazione che non iscritti), Arturo Iannaccone, ha accusato il governo per la ventilata incorporazione della provincia di Avellino: «Noi deputati della provincia di Avellino presiederemo la commissione Affari costituzionali e quel provvedimento non lo faremo passare, non lo farà passare il popolo». È solo un minaccioso annuncio di quel che potrebbe capitare.Vediamo quali direzioni potrebbero assumere le richieste di modifica. Senza dubbio, ci saranno le proposte di lasciare sopravvivere ciascuna delle 35 amministrazioni destinate all’accorpamento. Poi, verranno le richieste di modificare le denominazioni, posto che quasi sempre il decreto si limita a indicare le province che vengono unite, seguendo l’ordine alfabetico. Ancora: si tenterà di far passare l’individuazione di più capoluoghi nella stessa provincia (ci sono precedenti, anche se il decreto ne fa divieto). Similmente, si contesterà l’unificazione degli uffici provinciali, senza sedi decentrate: è un tema che farà fremere i dipendenti destinati a un trasferimento a volte di decine di chilometri, dipendenti che non mancheranno di esercitare pressioni sui propri parlamentari. Possiamo aggiungere pure che sorgeranno non poche questioni sulle città metropolitane. Non vanno taciute nemmeno le critiche da molte parti già arrivate alla soppressione delle giunte provinciali dal 1° gennaio prossimo, soltanto sostituite da tre consiglieri delegati. L’elenco può proseguire, non escludendo i tempi ristretti per la ricognizione di patrimonio, dati contabili, dotazioni e altro ancora. Come si vede, l’assalto potrebbe causare il travolgimento dell’intera manovra di riordino. Scatterà, allora, la consapevolezza di non poter azzerare un’operazione sulla quale la stampa ha per mesi battuto e per la quale il governo si è impegnato: ha accampato altresì richieste europee risalenti all’epoca di Berlusconi-Tremonti. Si può prevedere che, soprattutto da parte del Pd (che in Emilia-Romagna e in Toscana, pur tra vivi dissensi interni, ha imposto gli accorpamenti), giungeranno segnali verso i singoli parlamentari, affinché moderino le volontà modificatrici. Anzi: più che di parlamentari si dovrà parlare di senatori, perché il destino del decreto-legge, dopo palazzo Madama, potrebbe essere l’immutabilità della conversione come uscita dal Senato.
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