L’Italia si prepara a dire addio a 34 Province. A sancirlo è il decreto sul riordino degli enti di area vasta. Che era già all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di ieri e che è invece slittato ai tempi supplementari di oggi. Il provvedimento dovrebbe ridurre da 86 a 52 gli “enti di mezzo” nelle Regioni ordinarie. Non da subito bensì, come anticipato sabato scorso su questo giornale, dal 2014 quando dovrà concludersi il “cronoprogramma” elaborato dall’Esecutivo all’interno del Dl. Il condizionale è d’obbligo però. La bozza d’entrata in Cdm, che «Il Sole-24 Ore» ha avuto modo di visionare, presenta degli omissis proprio all’articolo 3. Quello più strategico perché deputato a indicare chi si fonde con chi. La mappa definitiva della nuova geografia provinciale potrebbe quindi non corrispondere a quella pubblicata accanto. Non tanto sui numeri complessivi, quanto sui singoli accorpamenti visto che la sorte di alcuni territori (Lombardia, Veneto e Toscana su tutti) sarà decisa nella riunione odierna. Si pensi ad esempio alla deroga per Sondrio e Belluno. Che sembrano destinate a sopravvivere pur non avendo i due requisiti previsti dalla delibera governativa del 20 luglio: popolazione di 350mila abitanti ed estensione di 2.500 chilometri quadrati. A renderle esenti dal taglio sarebbe una norma inserita in premessa alla bozza di Dl che sottolinea l’opportunità di «preservare la specificità delle Province il cui territorio è integralmente montano». Premessa che contiene anche il “salvacondotto” auspicato da Arezzo: utilizzare i dati della popolazione residente Istat anche se diversi rispetto all’ultimo censimento ufficiale dell’Istituto di statistica e superare così la soglia dei 350mila. Il testo chiarisce poi che servirà un anno per unire i bilanci, il personale e il patrimonio dei 52 enti che vedranno la luce dal 1 gennaio 2014 con elezioni stabilite tra il 1 e il 30 novembre 2013. Fermo restando che anche chi non subirà fusioni o annessioni dovrà sciogliersi e rinascere dalle proprie ceneri. A occuparsi del passaggio di consegne saranno i presidenti e i consiglieri in carica, mentre le giunte, a partire dal 2013, dovranno essere ridotte a 4 o 6 assessori a seconda che abbiano fino a 700mila abitanti o oltre. Niente scioglimenti anticipati dunque né commissariamenti, tranne che per chi va al voto nel 2013 (come Asti, Massa Carrara, Benevento o Foggia) o per chi ha un presidente dimissionario. Novità all’orizzonte anche per la scelta del capoluogo. Nelle Province a più “teste” la scelta andrà fatta, di regola, sulla base della popolazione o dell’accordo tra i diretti interessati. Con un’eccezione per chi sommerà più di tre amministrazioni: in quel caso un accordo a maggioranza potrà disporre diversamente. In più di un punto il Dl modifica l’articolo 23 del salva-Italia che ha provocato parecchio contenzioso costituzionale. In attesa della pronuncia della Consulta, fissata per il 6 novembre, l’articolo 4 del decreto affida alla legge statale il compito di introdurre entro fine 2012 il sistema elettorale che trasformerà le Province in enti di secondo livello rispetto ai Comuni che le compongono. Rivedendo al contempo al rialzo il tetto massimo di 10 consiglieri previsto dalla manovra di Natale. I membri dei consigli saranno infatti 10 nelle aree con meno di 300mila abitanti per salire a 12 nella fascia 300-700mila e arrivare a 16 oltre tale soglia. Nel computo delle 52 “sopravvissute” vanno incluse le 10 Città metropolitane. Che subiscono però un ampio restyling rispetto alle previsioni della spending. In primis dal punto di vista territoriale: non saranno più obbligate a coincidere con le Province che sostituiscono. Tant’è che Milano introiterà Monza-Brianza, Firenze riaprirà le porte a Prato e Venezia accoglierà (in tutto o in parte) Padova. In bilico la sorte di Bat (Barletta-Andria-Trani) che anziché finire dentro Bari potrebbe unirsi alla Provincia di Foggia.
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