Il trattamento economico, in sostanza, dovrebbe tornare in formula piena a partire dal prossimo mese, senza più la trattenuta del 2,5% relativa al Tfr dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.
Questo primo tassello risolve soprattutto i problemi ai responsabili degli uffici paghe, disorientati dopo che la sentenza costituzionale aveva tolto base normativa alla trattenuta: per disciplinare il nodo vero, cioè quello relativo alla restituzione del maxi-arretrato accumulato con le trattenute del 2011 e 2012, bisognerà aspettare il Dpcm annunciato sempre ieri dal Governo per affrontare «le altre parti della sentenza della Consulta».
L’intervento riporta dunque gli stipendi dei dipendenti pubblici ai livelli pre-trattenuta.
Le somme recuperate sono a conti fatti più interessanti di un rinnovo contrattuale: per un impiegato di un ente locale si tratta di 307 euro netti all’anno, mentre per un dirigente si arriva a mille euro.
Il beneficio è naturalmente proporzionale ai livelli stipendiali dell’interessato, e di conseguenza cresce nell’amministrazione centrale dove gli stipendi sono un po’ più alti: un funzionario si attende il ritorno di quasi 340 euro all’anno se lavora nei ministeri e di quasi 370 se il suo ufficio è in un ente pubblico non economico (Inps, Aci e così via), per un dirigente di seconda fascia la partita vale circa 690 euro all’anno mentre chi occupa i vertici della scala gerarchica può contare su quasi 1.050 euro in più.
L’arretrato da restituire, invece, ammonta a due volte abbondanti le cifre annue appena citate; questo perché nel 2011 il Tfr era soggetto a tassazione separata, più leggera di quella ordinaria, e di conseguenza la somma relativa al 2011 di cui gli interessati attendono il ritorno è più alta del «netto in busta» del 2012.
La partita degli arretrati, però, mette a dura prova i bilanci degli enti pubblici, e in particolare quelli dei piccoli Comuni dove la partita può mandare in crisi i conti.
Giovedì lo stesso presidente dell’Anci Graziano Delrio ha parlato espressamente di «rischio dissesto» nei Comuni più piccoli, chiedendo al Governo di studiare modalità applicative in grado di garantire i diritti dei dipendenti interessati senza mettere a rischio gli equilibri dei conti.
Un rompicapo, ma non è l’unico.
Le «altre parti della sentenza» citate dal comunicato stampa del Governo riguardano anche la restituzione del contributo di solidarietà che ha tagliato del 5% le quote di stipendio superiore a 90mila euro e del 10% quelle sopra i 150mila.
La platea interessata è in questo caso molto più piccola, composta dalle 26mila persone (divise a metà fra Stato ed enti territoriali).
Il problema, però, non è la copertura finanziaria (29 milioni di euro all’anno): la trattenuta riduceva il reddito degli interessati, per cui la sua restituzione impone di ricostruire il vecchio imponibile Irpef e chiedere le quote d’imposta che non sono state pagate a causa della tagliola.
Una ricostruzione della storia fiscale recente da attuare caso per caso, senza dimenticare gli effetti sulle addizionali regionali e locali.
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