Sul tema del riordino delle province si intravede, dopo la pausa estiva, solo una grande confusione da parte di qualche provincia, di alcuni enti locali e anche di Bruno Manzi, presidente Legautonomie del Lazio. Quest’ultimo si esercita in progetti di nuove province, del tutto fantasiose. Non solo. La sua proposta contiene un alto rischio per le province del Lazio. Vediamo perché. La legge sulla spending review assegna 70 giorni ai Cal (scadenza 3 ottobre 2012) per formulare una proposta di riordino delle province, da trasmettere alla rispettiva regione, che a sua volta deve, entro i successivi 20 giorni, formulare la proposta definitiva al governo. È ovvio che si tratta di «proposte», delle quali il governo può tener conto, ovvero disattendere. Ad oggi la legge è sicuramente lesiva del disposto dell’art. 133 della costituzione, il quale recita che possono essere mutate le circoscrizioni provinciali , con legge della Repubblica, sentite le regioni, «su iniziativa dei comuni». E qui è indubbio che, allo stato, non di «iniziativa dei comuni» si tratta, bensì di un decreto legge. Ora in alcuni ambienti delle province del Lazio, e da parte di Bruno Manzi, si vorrebbe imboccare la strada di snellire quanto più è possibile l’area metropolitana di Roma, includendo i comuni che confinano con le province di Viterbo, Rieti e Latina, in queste ultime. Ciò al fine di far raggiungere alle predette province i requisiti degli abitanti (350 mila) e della estensione (2.500 kmq), e quindi salvarle. Fare nel Lazio 4 macro-province: errore gravissimo perché:1. questa strada è esclusa tassativamente dall’art. 17 della legge, laddove al comma 3 stabilisce che: «Resta fermo che il riordino deve essere effettuato nel rispetto dei requisiti minimi determinati sulla base dei dati di dimensione territoriale e di popolazione, come esistenti alla data di adozione della deliberazione…»;2. questa disposizione è stata ribadita nel comma 3 dell’art. 1 della delibera del consiglio dei ministri del 20 luglio 2012;3. a chiarimento definitivo è poi intervenuta una nota del governo (funzione pubblica), secondo la quale si può tener conto delle eventuali deliberazioni dei comuni di trasferimento da una provincia ad un’altra solo se fossero state adottate prima del 20 luglio 2012;4. infine, se fosse percorribile questa strada lo farebbero tutte le province d’Italia, con il risultato che il numero delle stesse sarebbe ridotto di solo 3 oppure 4, e ne resterebbero in piedi oltre cento, vanificando l’obbiettivo del governo di ridurne considerevolmente il numero (una cinquantina). Ma ho usato l’aggettivo «gravissimo» perché una delibera del Cal in questa direzione rischierebbe di pregiudicare l’esito del ricorso alla Corte Costituzionale. Infatti, secondo alcuni costituzionalisti i piani dei Cal assumerebbero la funzione di «iniziativa» ai sensi dell’art. 133, comma 1, Cost. Il Cal, invece, a mio avviso, deve limitarsi a chiedere alla Regione Lazio di far ricorso alla Consulta.
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