Nessuna liquidazione per compensi sulle pratiche di condono edilizio se la spesa è preventivata ma non provata

19 Aprile 2024
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Il fatto di aver inserito una somma all’interno del fondo del salario accessorio non impegnata alla fine dell’anno, in quanto oggetto di programmazione e legata agli introiti previsti, non permette al dipendente di chiederne il pagamento, restando a suo carico l’onere di provare, in sede di ricorso, le attività effettivamente espletate al di fuori del proprio orario di lavoro. Con queste motivazioni la Cassazione (ordinanza n. 9634/2024) ha negato i compensi pretesi al dipendente ricorrente.

La vicenda

Un dipendente che aveva svolto alcune pratiche del condono edilizio, in assenza del pagamento da parte dell’Ente locale per mancato impegno di spesa, ha ottenuto un decreto ingiuntivo che è stato opposto dall’ente locale. A differenza del Tribunale di primo grado, la Corte di appello ha accolto le doglianze del comune considerando non dovuti gli importi pretesi in difetto del preventivo impegno di spesa, avendo la previsione del compenso carattere meramente programmatico in quanto subordinata alla riscossione degli oneri concessori indicati quale copertura finanziaria ma solo preventivata e non provata nella sua effettività. A fronte del diniego da parte dei giudici contabili, il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi dell’erronea valutazione effettuata dai giudici di merito in termini meramente programmatici dei compensi da versare nonostante la delibera di approvazione del programma e della liquidazione delle somme spettanti al ricorrente per lo svolgimento dell’attività espletate, fermo restando l’ingiustificato arricchimento dell’ente a fronte della nullità dell’atto in assenza dell’impegno contabile.

Il rigetto del ricorso

Per la Cassazione il ricorso è inammissibile e infondato nella parte in cui è incentrato sulla violazione della nullità del compenso in ragione delle attività previste nel progetto obiettivo espressamente approvato dalla Giunta comunale ed inserito nelle risorse del fondo ma non impegnate dall’ente. Infatti, da un lato esiste in orientamento consolidato del giudice di legittimità secondo cui «In tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva (preordinata al perseguimento di una pluralità di obiettivi di rilievo costituzionale, non riducibili a quello della razionale distribuzione delle risorse finanziarie), sicché non è sufficiente, a tal fine, l’adozione di un atto deliberativo negoziale da parte della P.A., il quale, anche nell’ipotesi in cui sia rispettoso dei vincoli finanziari, deve considerarsi nullo ove non conforme alla suddetta contrattazione» (Cass. n. 11645/2021). Dall’altro lato, se è vero che, l’atto volto a legittimare la remunerazione di prestazioni aggiuntive nel pubblico impiego che sia assunto in difetto del preventivo impegno di spesa, per quanto sia invalido, non consente di derogare alla disciplina applicabile nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, dell’art. 2126 c.c., così fondando la pretesa a conseguire il corrispettivo di quell’attività lavorativa, anche se giuridicamente non dovuta, ove sia stata concretamente prestata. E’ altrettanto vero che, il citato principio non può trovare applicazione non avendo il ricorrente neppure allegato lo svolgimento delle prestazioni aggiuntive di cui chiede il compenso oltre il debito orario che ne legittima, ove in concreto la prestazione sia stata effettuata, la remunerazione ex art. 2126 c.c.
Il ricorso, in definitiva, è stato rigettato per non avere il ricorrente dimostrato l’esecuzione delle prestazioni rese al di fuori del proprio orario di lavoro.

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