Il dipendente trasferito ha diritto alla sola garanzia del livello economico e non all’anzianità di servizio

17 Maggio 2024
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Il trasferimento del dipendente da una amministrazione all’altra, comporta il mantenimento del solo trattamento economico fondamentale ed accessorio corrisposto al momento del nuovo inquadramento limitatamente alle voci fisse e continuative e prevede, nel caso in cui esso risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell’amministrazione di destinazione, l’erogazione di un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici, a qualsiasi titolo conseguiti. In merito, invece, all’anzianità di servizio del dipendente trasferito, essa non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore da lavoro e deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il suo mancato riconoscimento comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. Sono queste le indicazioni della Cassazione (ordinanza n. 12724/2024) in merito ai diritti rivendicati da un dipendente trasferito in altra PA a seguito della soppressione dell’Ente di appartenenza.

La vicenda

Una dipendente transitata presso il Ministero dello sviluppo economico, a seguito della soppressione dell’Ente pubblico di appartenenza, ha chiesto sia il risarcimento del danno per illegittima protrazione dei contratti a termine, sia in merito alla sua anzianità di servizio. Il Tribunale di primo grado ha accolto il ricorso nella parte in cui è stato accertato l’utilizzo abusivo del contratto a termine, quantificando il cosiddetto danno comunitario in 10 mensilità, mentre la Corte di appello ha anche riconosciuto il diritto della dipendente nel conservare l’anzianità di servizio maturata presso l’ente soppresso.
Avverso la decisione il Ministero ha proposto ricorso in Cassazione in merito alla maturazione dell’anzianità di servizio che non rappresenta il contenuto di un diritto a sé stante, ma è di volta in volta ricollegabile a specifiche utilità che il dipendente può vantare, utilità che nella fattispecie sono state dedotte solo in via eventuale ed ipotetica.

L’accoglimento del ricorso

Premesso che è stato respinto il motivo sulla corretta quantificazione del danno comunitario essendo attenuta la Corte di appello ad indirizzi consolidati in merito alla quantificazione tra un minimo e un massimo del numero di mensilità, la questione riguarda la possibilità di poter trasferire, oltre la garanzia del salario percepito presso l’ente disciolto, anche l’eventuale anzianità di servizio prestata in tal ente. Nel caso di specie va rilevato come la disposizione legislativa contenuta nel d.l. n. 78/2010 assicuri ai dipendenti trasferiti il mantenimento del solo trattamento economico fondamentale ed accessorio corrisposto al momento del nuovo inquadramento limitatamente alle voci fisse e continuative e prevede, nel caso in cui esso risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell’amministrazione di destinazione, l’erogazione di un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici, a qualsiasi titolo conseguiti. In particolare, ai fini del computo dell’assegno personale ciò che rileva è il carattere fisso e continuativo del compenso, che è connaturato al trattamento fondamentale ma ricorre anche per quelle voci del trattamento accessorio che non siano correlate al conseguimento di specifici obiettivi, bensì al profilo professionale o alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza e siano certe nell’an e nel quantum.
In merito, invece, anzianità di servizio, anche nei casi di applicazione dell’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, l’anzianità medesima di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore da lavoro e deve essere salvaguardata in modo assoluto solo ove ad essa si correlino benefici economici ed il suo mancato riconoscimento comporti un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito. L’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario né può essere opposta al nuovo datore di lavoro per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto, non delle mere aspettative (Tra le tante: Cass. n. 641/2022).
Il ricorso, pertanto, è stato accolto con rinvio della decisione alla Corte di appello che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto esposti.

Redazione Il Personale

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