Le Province sono sul piede di guerra. E stavolta fanno sul serio. Unite contro il nemico comune, la spending review, o meglio, quell’articolo 17 della legge che prevede l’accorpamento degli enti che non rientrano nei parametri indicati dal governo: 350 mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di superficie. Delle attuali 107 la «mannaia» ne lascerà in vita 43. Dopo le proteste, ora si è passati alle vie di fatto attraverso il ricorso al Tar del Lazio. Nel manipolo dei «ribelli» c’è Matera, destinata a sparire dato che soddisfa il requisito dell’estensione territoriale, ma non quello del numero di abitanti: qui la giunta provinciale ha già approvato il ricorso, che sarà notificato all’inizio della settimana prossima. Secondo l’ente lucano i due criteri fissati per il riordino non sarebbero sufficienti a giustificare l’abolizione di un ente costituzionale. «Il nostro territorio ha caratteristiche uniche, identificarlo con una sola Provincia cancellando una tradizione centenaria (Matera è provincia dal 1927) è impensabile», dice il presidente Francesco Stella, a capo di una coalizione di centrosinistra. «Se poi il problema è quello del taglio dei costi della politica insiste , non c’è motivo che venga soppressa: i nostri conti sono in ordine, il patto di stabilità è stato rispettato. Non abbiamo aspettato la spending review per ridurre le spese: non abbiamo auto blu, eccetto una di rappresentanza, e neppure consulenti esterni. Dal mio insediamento (il 17 giugno 2009) gli emolumenti sono stati ridotti del 20%. Io prendo uno stipendio netto di 2.800 euro, molto inferiore a quello che percepivo quando ero dirigente d’azienda». E Matera non è un caso isolato. Sono diverse, da nord a sud, le Province che dalle parole sono passate alle vie di fatto. A Lodi il 2 agosto scorso la giunta ha approvato il ricorso al Tar del Lazio perché di essere accorpati a Pavia i lodigiani proprio non ne vogliono sapere; lo stesso hanno fatto a fine luglio le giunte provinciali di Treviso e di Rovigo. Idem per Sondrio e Lecco. Se poi si contano anche tutte le Province che si sono dette interessate a seguire la strada del ricorso pur non avendo ancora approvato il provvedimento in giunta l’elenco si allunga: da Teramo a Benevento, da Vibo Valentia a Gorizia, passando per Varese, Vercelli, Siena. La lista potrebbe continuare ancora: sono almeno una quarantina. Insomma, le iniziative contro la legge non si fermano: il 20 luglio scorso erano 25 i presidenti di Provincia riuniti a Benevento per chiedere di stralciare l’art.17 per «incostituzionalità e insussistenza delle motivazioni di necessità e urgenza», avanzando invece la proposta di individuare obiettivi di carattere economico e di lasciare che siano gli enti locali a intervenire. In Piemonte l’ipotesi di annessione della provincia di Asti a quella di Alessandria ha dato vita a un inedito asse Lega-Pd, mettendo d’accordo, durante il Consiglio delle autonomie locali di pochi giorni fa, l’assessore regionale al bilancio Giovanna Quaglia, del Carroccio, e il consigliere regionale democratico Angela Motta: no bipartisan all’accorpamento, i due territori sono «non omogenei». A queste iniziative si aggiungono poi quelle che sconfinano nel risiko: per «salvarsi» Trapani vorrebbe includere il Comune di Menfi (Agrigento) e, in cambio, offrirebbe un assessorato a un menfitano; Napoli potrebbe cedere alcuni Comuni ad Avellino e Caserta che, a loro volta, ne cederebbero altri (tra i quali Cervinara e San Polito Sannitico) a Benevento. Per il momento, due sono le date da segnare in rosso sul calendario: il 2 ottobre, quando il Consiglio autonomie locali di ogni Regione a statuto ordinario (o l’organo regionale di raccordo tra regioni ed enti locali) dovrà presentare una proposta di riordino delle Province e, il giorno dopo, inviarla alla Regione; e il 15 ottobre, deadline entro la quale il governo effettuerà il riordino sulla base delle proposte regionali. Insomma, la battaglia è appena cominciata.
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