Le ferie agostane, fino a qualche anno fa, erano tempo di pausa lavorativa, di consuntivo periodico e di riflessione in funzione della ripresa dell’attività autunnale. Da qualche anno, il mese di agosto è tempo di manovre finanziarie da solleone cadenzate lungo una sequenza di provvedimenti di crescente imposizione fiscale e di progressiva riduzione dei servizi pubblici essenziali.Così la politica economica, orientata esclusivamente sull’obiettivo del risanamento dei conti pubblici e accompagnata da una scarsa attenzione nei confronti delle politiche di sviluppo, ha ben contribuito a portare il paese in una grave situazione di recessione.La politica delle due fasi – prima il risanamento dei conti pubblici e poi il sostegno alla crescita – è figlia di una visione statica e inefficace dell’economia e della finanza pubblica che ha provocato un’involuzione del sistema produttivo e occupazionale. Tutto questo è avvenuto in costanza di crisi dell’Eurozona, con la conseguente necessità di tener fede ai gravosi impegni assunti dall’Italia nell’Unione per «salvare» l’euro attraverso provvedimenti tendenti a far cassa e dagli effetti recessivi.In sintesi, il governo Monti, sull’altare dell’emergenza, ha clamorosamente disatteso il suo stesso programma per quanto riguarda equità e crescita. Ha fatto pagare ai lavoratori e ai cittadini meno abbienti l’intero prezzo della crisi, non ha creato le condizioni per la ripresa della crescita e, di conseguenza, ha tradito le aspettative occupazionali delle giovani generazioni.Il governo Monti, dopo l’iniquo provvedimento sul sistema previdenziale e pensionistico e la discutibile riforma del mercato del lavoro, ha proposto, negli ultimi due mesi, un’anomala spending review. Di fatto, il governo ha emanato una serie di decreti che si possono classificare come manovre finanziarie. Ma così facendo ha travisato la natura stessa dell’operazione di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni che doveva portare a una puntuale erogazione di servizi pubblici di qualità e all’eliminazione degli sprechi e della spesa pubblica improduttiva.Si tratta, di un provvedimento «cieco» con esclusivi obiettivi di finanza pubblica. Tra l’altro, quest’obolo al tesoro da parte dei dipendenti pubblici potrebbe rivelarsi, oltre che gravemente iniquo, inutile ai fini del risanamento dei conti. Ai lavoratori del pubblico impiego e ai sindacati che li rappresentano non è rimasto che rispondere prima con la mobilitazione e in seguito con la programmazione di azioni di lotta, da qualche tempo già in atto. Ma non sembra che le giuste ragioni per una giusta riforma delle pubbliche amministrazioni siano state recepite appieno. Lunedì scorso, 30 luglio, il ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Filippo Patroni Griffi, ha incontrato le confederazioni sindacali rappresentative e ha presentato i possibili emendamenti al testo del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 «disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini».La Confsal – che, insieme con le sue federazioni del pubblico, aveva presentato a governo e parlamento una serie di emendamenti – ha ritenuto questo intervento emendativo del tutto insufficiente. In ogni caso, e prima di prendere le definitive decisioni politico-sindacali, la confederazione autonoma si è riservata di valutare il testo finale del provvedimento di legge. Intanto, conferma lo stato di mobilitazione e le azioni di lotta, già in atto e in fase di programmazione da parte delle federazioni del pubblico impiego.A questo punto, va detto che il governo ha perso un’altra buona occasione per trovare delle soluzioni eque e condivise per la razionalizzazione delle p.a. e per il riordino del pubblico impiego. E ha anche perso l’occasione per evitare un altro autunno caldo.
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