Non lo sa il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, che incontrando i sindacati ieri mattina, ha premesso: «Lo sapremo il 31 ottobre, non prima».
E alla luce di questo «non sono in grado di escludere i licenziamenti».
Anche «gli 11mila sovrannumerari nella pubblica amministrazione centrale», cifra citata nella relazione tecnica della spending review, che impone la cura dimagrante a Stato ed enti, «non può essere considerato un dato finale».
Non lo sanno nemmeno i sindacati, che si sono divisi nel contestare il taglio degli organici del 20% per i dirigenti e del 10% per i dipendenti.
Cgil e Uil, che rifiutano a priori ogni intervento nei confronti dei dipendenti dello Stato, come se ne sono visti in giro per l’Europa, uscendo da Palazzo Vidoni hanno confermato lo sciopero del pubblico impiego per il 28 di settembre.
Poi si è unita anche l’Ugl.
La Cisl, invece, si è chiamata fuori, in attesa che si chiarisca l’entità dei tagli.
Prima «di portare la gente in piazza – dice il segretario confederale Gianni Baratta – bisogna verificare di quante persone stiamo parlando».
Anche al ministero «si stanno dando i numeri al lotto.
Ci sono molte amministrazioni che hanno le piante organiche ferme a 5 anni fa, e nel frattempo ci sono state più di 100 mila uscite».
Michele Gentile, responsabile del pubblico impiego per la Cgil, protesta contro il taglio fatto sulla carta: «Mi pare una procedura un po’ superficiale, e il problema è che nessuno sa che effetti si producono».
«La dotazione organica», su cui si interviene, «è una categoria teorica, lo scarto tra questa e il personale in servizio produce effetti diversi a seconda delle amministrazioni», per questo bisogna capire quali compensazioni ci potranno essere.
I 24 mila possibili esuberi cui per adesso si fa riferimento, 11 mila statali, 13 mila a livello locale, sono del tutto teorici.
«Per gli statali – spiega il sindacalista – si parla di 5.500 dipendenti degli enti, ed è possibile che sia così, sui 5.600 ministeriali ho qualche dubbio».
Patroni Griffi rassicura che il processo «non avrà nulla di traumatico.
Serve ad aprire un percorso di riorganizzazione e riallocazione delle risorse umane».
Non ci saranno migliaia di persone per strada dalla sera alla mattina, ma per molti dipendenti pubblici il lavoro non sarà più quello di prima.
La mobilità scatta obbligatoriamente se non bastano i prepensionamenti per rispettare i tagli, e se non si trovasse una collocazione diversa entro due anni, allora sì scatterebbe il licenziamento.
Un dirigente del ministero dell’Istruzione, categoria in sovrannumero essendo gli organici commisurati alle esigenze di strutture capillari quali erano i vecchi provveditorati, potrebbe dover andare in un altro ufficio.
Come tutto questo avverrà, e con quali garanzie per i lavoratori, sarà oggetto di una trattativa da iniziare a settembre cui parteciperanno tutte le sigle.
Nelle compensazioni tra amministrazioni si dovrà tenere conto – anticipano i sindacati – del rapporto di equivalenza tra figure, prevedere un’adeguata formazione, considerare i carichi familiari e delle distanze.
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