Il 20 luglio scorso il consiglio dei ministri ha deliberato i requisiti minimi di popolazione residente e di dimensione territoriale delle nuove province. Sono ormai noti: 350.000 abitanti e 2.500 Kmq di superficie. Nella conferenza stampa che ha fatto seguito alla riunione si è detto che le nuove province saranno circa 40, di cui 10 province metropolitane, con qualche eventuale ritocco in più. Un bel taglio dunque, ma sarà proprio così? Ai sensi dell’articolo 17 del decreto-legge 95 sulla spending review, la delibera del cdm sui requisiti sarà trasmessa tra breve ai Consigli delle autonomie locali (Cal) delle singole regioni i quali, entro 40 giorni dalla data di trasmissione, deliberano il piano di riduzioni e accorpamenti da inviare al governo che acquisisce su di essi il parere della regione interessata entro i successivi dieci giorni. La procedura appare discutibile, anche sul piano della legittimità costituzionale, per due ordini di motivi: investire i Cal di un potere di proposta nella elaborazione dei piani laddove l’articolo 123, ultimo comma, della Costituzione li definisce organi di consultazione tra regione ed enti locali; non tener conto dell’articolo 133 della stessa Costituzione che attribuisce ai comuni il potere di iniziativa in materia di istituzione di nuove province. Ma, sotto altro aspetto, ciò che colpisce è l’estrema ristrettezza dei tempi assegnati dalla norma. Infatti i Cal (peraltro non ancora attivati in tutte le regioni) sarebbero costretti a deliberare praticamente entro il mese di agosto un documento di grande rilievo strategico qual è il piano di riduzione e di accorpamento delle province nell’ambito delle singole regioni. Questa fase della procedura, affidata sia pure in via indiretta alle autonomie locali, non sembra tuttavia determinante se si osserva l’iter successivo. Con l’intento di dare rapida attuazione agli interventi previsti nel decreto legge, il quarto comma dell’articolo 17 stabilisce che, entro venti giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, le province sono soppresse o accorpate con atto legislativo di iniziativa governativa. Ciò significa che presumibilmente entro il prossimo mese di settembre (il decreto 95 sulla spending review è troppo importante per non essere convertito comunque, anche con la fiducia, prima dei 60 giorni a causa dell’impennata dello spread) il governo adotterà al riguardo un decreto legge o un disegno di legge sulla base delle proposte pervenute o elaborando quelle mancanti da sottoporre all’esame della Conferenza unificata. La parola finale sul riordino delle province spetterà dunque al parlamento. Nel frattempo è scoppiata in piena estate la gara del toto – province. Le ipotesi che si formulano sono le più varie ed emergono resistenze e campanilismi non ancora sopiti. In realtà la possibilità di accorpare tra loro province che non hanno i requisiti e che messe insieme li raggiungono o li superano ampiamente, comporterà la presenza nel territorio di un numero di province certamente superiore alle 40 – 43 ipotizzate. Numerosi sono i casi esistenti: dalle province della Lombardia e della Toscana a quelle dell’Emilia, del Lazio e dell’Abruzzo dove, attraverso l’accorpamento, le province che non hanno i requisiti diventerebbero enti di grande rilievo. A tale riguardo, la delibera del cdm del 20 luglio contiene alcune precisazioni utili quali l’impossibilità di accorpamento con le province destinate a diventare Città metropolitane e l’individuazione del comune capoluogo delle nuove province in quello con la maggiore popolazione residente tra i comuni capoluogo delle province oggetto del riordino. In questo clima di grande difficoltà e di incertezza delle autonomie locali in assenza di un quadro organico di riferimento (Carta delle autonomie), occorrerà una grande capacità dei Cal e delle forze politiche che li compongono di elaborare e presentare validi Piani di riduzione e accorpamento delle province in grado di aggregare realtà e istituzioni secondo logiche rivolte a migliorare l’azione di governo e il livello dei servizi nel territorio. Ma tutto questo è improbabile in soli 40 giorni anche perché restano grossi nodi ancora da sciogliere: dalla elezione indiretta degli organi delle nuove province, su cui pende il giudizio della Corte costituzionale, al problema delle funzioni che appaiono eccessivamente ridotte e soprattutto alla vicenda finanziaria che si svolge in parallelo attraverso tagli insostenibili che compromettono persino l’erogazione di servizi essenziali.
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