Pensioni, 8mila statali in deroga

L’alternativa è il trattamento di mobilità all’80%: buste paga ridotte fino al 50% PREPENSIONAMENTO Sarà possibile lasciare il lavoro con 40 anni di servizio o per quota: i requisiti devono scattare entro il 2013, assegni entro il 2014

Marcello Serra 10 Luglio 2012
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Arriva il nuovo “esonero” dalla riforma previdenziale, e riguarda i dipendenti pubblici destinati a uscire dagli uffici per il dimagrimento della Pa. Si tratta, secondo le stime governative, di circa 8mila persone (si veda Il Sole 24 Ore del 8 luglio), che potranno essere accompagnati alla pensione con il vecchio regime purché il diritto all’assegno, determinato da 40 anni di servizio o dalle quote di età e anzianità, scatti entro il 2014 (e quindi i requisiti siano centrati entro il 2013). La nuova via d’uscita serve a ridurre il numero di dipendenti pubblici che rischiano di essere colpiti dalla mobilità all’80% dello stipendio, prevista nel 2011 e rilanciata con la spending review. La conseguenza sarebbe quella di un taglio fino al 50% della retribuzione effettiva, con un rischio maggiore nelle amministrazioni che non hanno attuato la prima revisione degli organici chiesta dalla manovra-bis dell’anno scorso. All’epoca, si chiese per legge di ridurre del 10% gli organici dirigenziali non generali (calcolando per teste) e quelli del personale non dirigente (calcolando per spesa). La nuova riduzione, spiega il decreto sulla spending review, va aggiunta agli effetti della tappa precedente, per cui negli enti della Pa centrale che hanno glissato su quel passaggio la tagliola dovrebbe arrivare al 30% per i posti da dirigente e al 20% per i costi degli organici non dirigenziali. Negli enti locali, invece, il problema non dipenderà dagli organici ma dal personale effettivo: chi, in rapporto agli abitanti, ne ospita il 40% in più della media nazionale, dovrà agire di forbice. L’apertura previdenziale secondo il Governo sarà sfruttata da un terzo dei 24mila esuberi. Gli altri, la cui individuazione dipenderà anche dalle eventuali compensazioni fra Pa diverse, potranno tentare la strada del part-time o dello spostamento in altro ufficio (sempre che si trovino posti disponibili), altrimenti sarà interessata dalla regola della mobilità all’80%, che potrà durare fino a 4 anni anziché i 2 previsti dalla regola originaria. L’80% in questione, però, si calcola sulle voci stipendiali, e non sul trattamento economico complessivo. A perdersi per strada sono le indennità di posizione, gli straordinari e le altre voci accessorie, che per tutto il pubblico impiego valgono 27 miliardi all’anno (il 23% del costo complessivo del personale). Nascono da qui gli alleggerimenti reali delle retribuzioni di chi sarà colpito dalla misura. Nelle medie di comparto, a temere gli effetti maggiori sono presidenza del consiglio ed enti non economici (Inps, Aci ecc.), dove le indennità accessorie pesano di più: andando a colpire i dipendenti più anziani, però, l’impatto può essere anche maggiore. Gli esuberi della Pa vanno aggiungersi ad altre categorie di persone che potranno andare in pensione prima dei 66 anni età la soglia limite effetto della riforma. Innanzitutto sono “salvi” tutti i lavoratori che hanno maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011. Inoltre il comma 15-bis del decreto legge 201/2011, come modificato dalla legge di conversione 214/2011, invece, prevede «in via eccezionale» ai dipendenti del settore privato iscritti all’assicurazione generale obbligatoria o forme sostitutive di andare in pensione a 64 anni. La clausola si applica agli uomini che entro la fine del 2012 maturano 35 anni di contributi arrivando a quota 96, cioè 60 anni di età e 36 di contributi o 61 e 35, ma si applica anche alle donne che, sempre entro la fine dell’anno, compiano 60 anni e vantino almeno 20 anni di versamenti contributivi. Seppur a fronte di una penalizzazione dell’assegno oscillante tra il 20 e il 30% rispetto al sistema retributivo, con tagli più consistenti per gli stipendi più elevati, possono anticipare il tempo della pensione anche le lavoratrici con anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età di almeno 57 anni se dipendenti o 58 anni se autonome. Per loro c’è la possibilità di andare in pensione se si passa al sistema di calcolo contributivo e si matura la decorrenza della pensione entro la fine del 2015. Della pattuglia di lavoratori sottratti alle nuove regole, in base dei decreti legge 78/2009 e 78/2010, fanno parte anche le lavoratrici del settore privato che sono nate entro il 1951 e quelle del pubblico nate entro il 1950 che hanno maturato 15 o 20 anni di contributi in base al regime previdenziale applicabile, in quanto hanno già maturato il diritto alla pensione anche se sono ancora al lavoro. Infine ci sono i 120mila salvaguardati, così come definiti dai decreti legge 201/2011, 214/2011 (e relative leggi di conversione) e 95/2012, nei mesi scorsi oggetto di lunghi confronti tra governo, partiti politici e parti sociali. Tra questi il nucleo più consistente è costituito dai 40mila, anche se in servizio al 4 dicembre, oggetto di accordi siglati entro il 31 dicembre 2011 finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali tramite ammortizzatori sociali.

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