Con una settimana di ritardo sui tempi di legge, il testo della legge di Stabilità ieri sera è stato trasmesso al Quirinale per la firma del capo dello Stato. Ma nel frattempo è esploso lo scontro, finora latente, fra governo e Regioni. O meglio, fra Matteo Renzi e Sergio Chiamparino, il quale ha annunciato le dimissioni da presidente della conferenza dei governatori. L’ex sindaco di Torino si trova nella complicata veste di presidente di una Regione gravata da molti debiti (e da una sentenza della Corte dei Conti che ha fatto lievitare il deficit per risolvere il quale attende un decreto del governo) nonché di coordinatore di Regioni gravate da un pesante debito sanitario. Oggetto dello scontro i trasferimenti per il 2016 da parte dello Stato. Gli accordi prevedevano di aumentare da 110 a 111 quelli per la sanità (e anche se la promessa era di salire a 113), ma ora si scopre che scendono di un miliardo quelli per le amministrazioni. Agli occhi delle Regioni c’è di peggio, perché il Tesoro ha deciso anche di sospendere gli aumenti di tutte le addizionali locali fatta eccezione per la tariffa sui rifiuti e dei ticket sanitari. Ciò significa che le Regioni in deficit non potranno, se necessario, ritoccare all’insù nemmeno le addizionali Irpef e Irap. Ad oggi quelle costrette a seguire il cosiddetto piano di rientro sono Lazio, Abruzzo, Campania, Molise, Sicilia, Calabria, Piemonte e Puglia. Per loro «la legge prevede un aumento automatico delle addizionali» ricorda il coordinatore degli assessori al Bilancio Massimo Garavaglia. A meno di colpi di scena, ora non potranno far altro che ritoccare i ticket, perché – spiega una fonte del Tesoro che chiede l’anonimato – «una cosa è aumentare le tasse a tutti, altro è giustificare l’aumento di tariffe per una prestazione». Il pressing su Renzi per rivedere le decisioni è forte, ma ormai il premier ha detto a chiare lettere che «le tasse locali non aumenteranno» e una marcia indietro è improbabile. Del resto la posizione di Chiamparino è abbastanza isolata. C’è chi l’Irpef la applica già al massimo e non ha da perdere granché (ad esempio il Lazio) e chi nel frattempo ha fatto sacrifici. L’uscita del pugliese Michele Emiliano dice tutto: «A novembre abbiamo ottime possibilità di uscire dal piano di rientro».
LE NOVITÀ
A proposito di spese pazze: l’ultima versione della legge di Stabilità tenta di introdurre ancora una volta nuove regole per contenere entro i 240mila euro tutti gli stipendi degli amministratori delle municipalizzate. A definirli sarà un decreto del Tesoro che entro il 30 aprile 2016 dividerà le società in tre gruppi tenendo conto di indicatori qualitativi e quantitativi, ed escluse le quotate. Si restringono a sorpresa gli spazi per le assunzioni nel settore pubblico: nel prossimo triennio si potrà spendere al massimo un quarto dell’anno precedente. La legge Madia, approvata poche settimane fa, prevedeva ben altri tetti: al sessanta per cento della spesa il prossimo anno, all’ottanta nel 2017, e saltare nel 2018, quando per ogni uscita o pensionamento sarebbe dovuta essere possibile un’assunzione. Restano esclusi dalle nuove regole militari, polizia, magistrati, diplomatici, in parte i dirigenti.
IL CANONE RAI
Un’altra novità riguarda il canone Rai: vista la polemica sulla decisione di inserirlo nella bolletta elettrica, il governo ha deciso che i 500 milioni di maggior gettito resteranno all’erario per rimpinguare il fondo taglia-tasse. Resta il dubbio se il nuovo canone lo dovranno pagare anche i possessori di tablet. Il sottosegretario Giacomelli dice di no, ma la domanda sorge spontanea: se paga chiunque ha un’utenza elettrica, che cambia? Infine i giochi, l’altra grana che ha rallentato la manovra: Renzi annuncia che i punti autorizzati non aumenteranno («anzi scendono a quindicimila) e calerà il numero di bar con la licenza a installare slot.
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