È questo l’obiettivo che il governo si è dato per il Consiglio dei ministri in programma nei prossimi giorni.
Non domenica alle 18, così come si era ipotizzato nei giorni scorsi, visto che il premier Mario Monti è atteso a Kiev alla finale degli Europei di calcio.
Se ne riparla lunedì sera, dopo l’incontro in programma a Palazzo Chigi per le 9 con sindacati ed enti locali.
L’oggetto è la spending review , cioè il taglio della spesa pubblica.
Lunedì sera l’ordine che risuonerà a Palazzo Chigi è «tagliare, tagliare, tagliare», perché è questo che vuole l’Europa dopo il vertice di Bruxelles.
Lo spread dipende dalle speculazioni dei mercati, il macigno italiano si chiama debito pubblico, ormai vicinissimo a quota 2mila miliardi di euro.
Servono 10 miliardi di euro, dunque, per evitare un aumento dell’Iva dal 21 al 23% che ammazzerebbe l’Italia, come sa bene il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, che ancora ieri predicava prudenza: «Prima di poter chiedere, bisogna dimostrare di saper tagliare.
Serve uno sforzo sia per l’amministrazione centrale sia per quella periferica per evitare l’aumento dell’Iva».
Da dove prenderli? Non dall’imposta sulla casa, forse.
Le stime sull’Imu – 9 miliardi il gettito incassato finora sui 9,7 previsti – sono buone.
Forse la tanto temuta stangata di fine anno non ci sarà. Forse.
Non dalle Province, è l’urlo lanciato ieri dalle colonne del Sole24ore .
«Giusto riformare le Province, istituire le città metropolitane, ridurre gli uffici dello Stato – scrivono i presidenti delle Province di Roma, Milano, Torino e dell’Unione province – ma soprattutto bisogna tagliare subito i 3.127 enti strumentali, le stanze segrete della politica, di cui i cittadini ignorano perfino l’esistenza che costano al Paese oltre 7 miliardi di euro».
Un discorso a parte meriterebbe il terremoto in Emilia-Romagna.
Qui di miliardi ne servono eccome, almeno due, così come bisogna trovare i soldi per finanziare le cosiddette «spese esigenziali» (5 per mille, missioni militari, eccetera).
Il «tesoretto» da cui pescare potrebbe essere il pubblico impiego.
A sentire il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi ( nella foto ) «le eventuali eccedenze di personale verranno gestite in maniera non traumatica» ma secondo un dossier che circolava ieri il governo avrebbe già le idee chiare.
Una scure su tredicesime, telefonate ai cellulari e buoni pasto come antipasto, poi la mannaia: 10mila esuberi con la messa in mobilità per due anni, con l’80% dello stipendio lordo.
Senza straordinari e tredicesime la pensione rischia di essere il 50% dello stipendio.
Grazie a una mini-deroga alla riforma Fornero sulle pensioni per favorire l’uscita dei dipendenti più anziani, alla soglia dei 60 anni, gli statali da pensionare potrebbero essere molti di più.
Le cifre circolate ieri ipotizzano il taglio di un dirigente su 5 e un funzionario su 10.
Con ben 40 prefetti in uscita su duecento.
Se sarà traumatico o dolce si capirà solo lunedì.
I numeri 3.127 È il numero di società, consorzi ed enti di Regioni, Province e Comuni che si possono tagliare secondo l’Unione delle Province 140 Sono i miliardi di euro che secondo il ministro Giarda Comuni, Province e Regioni spendono senza risponderne ai cittadini 80 Sono i milioni di euro che i partiti avevano promesso di devolvere ai terremotati, ma per ora non c’è traccia di versamento
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