Invece di tagliare la tredicesima o i buoni pasto agli statali, la spending review potrebbe prendere di mira le progressioni orizzontali, elargite a piene mani e senza troppi controlli negli scorsi 10 anni, per ottenere risparmi sulla spesa di personale.È evidente che il governo per reperire le risorse necessarie a scongiurare l’incremento Iva d’autunno agirà sul costo del personale pubblico, anche se il 52/2012 non assegna in alcun modo questo mandato al commissario Enrico Bondi.Sembra che l’attenzione del governo, una volta scartato il tetto alle pensioni d’oro, si concentri su due elementi. Il primo è la riduzione dei buoni-pasto di circa 2 euro, per riportarli alla soglia di 5,29 euro, esente da contributi ed Irpef. Una manovra che porterebbe al risparmio per la verità più che irrisorio di 10 milioni di euro.L’altro elemento non è per nulla una novità: il taglio o la sospensione o il rinvio della tredicesima, già previsto dalla manovra ferragostana dello scorso anno, ma poi cancellato dalla legge di conversione. Segno che, alla fine dei conti, le idee dell’apparato restano sempre le stesse.Non sono uscite stime di risparmio che deriverebbe dagli interventi sulla tredicesima. Se venisse soppressa del tutto, considerando che stando al Conto del personale 2010 il reddito medio lordo (compresi dirigenti e magistrati) dei dipendenti pubblici è di 34.000 euro, la tredicesima è mediamente di euro 2.615 lordi; moltiplicando per i 3.250.000 dipendenti pubblici, il risparmio sarebbe di circa 13.384 milioni.Si risolverebbero i problemi della spending review, ma vi sarebbero conseguenze indirette da non trascurare. Una prima, sarebbe l’abbassamento del gettito dell’Irpef. La seconda, il calo certo di spese per acquisti a dicembre, del quale soffrirebbe il mondo del commercio, che si è già detto contrario anche alla riduzione dei buoni pasto. Senza considerare, poi, che molti dipendenti contando sulla tredicesima hanno previsto a dicembre la scadenza di rate per mutui e prestiti.Una via di mezzo potrebbe consistere nella riduzione di qualche punto percentuale delle retribuzioni lorde. Un 5% in meno varrebbe circa 8.700 milioni. Considerando, tuttavia, il blocco della contrattazione, di per sé un’indiretta misura di riduzione degli stipendi rispetto al costo della vita, si potrebbe attivare una manovra meno invadente. Come, per esempio, la cancellazione di uno dei passaggi di posizione economica, frutto dell’istituto della «progressione orizzontale», inizialmente previsto dai contratti collettivi come strumento selettivo per premiare i più capaci e impegnati, trasformato, invece, dalla contrattazione decentrata in un sostituto dell’abolita indennità di anzianità di servizio. Secondo la Corte dei conti, nel colo comparto regioni enti locali tra il 2001 e il 2008 quasi tutti i dipendenti hanno fatto almeno due progressioni; nello stesso arco di tempo, la metà dei dipendenti del comparto ha anche ottenuto delle vere promozioni, con le oggi abolite progressioni verticali. Tutto ciò ha contribuito alla crescita del costo del lavoro pubblico superiore alla crescita delle retribuzioni private nel medesimo periodo.Un riequilibrio, allora, della spesa (compito che sarebbe proprio della spending review) potrebbe porre rimedio all’eccessiva disinvoltura con la quale sono state concesse le progressioni orizzontali. Mediamente, nel comparto regioni-enti locali ogni aumento di stipendio costa 770 euro. Utilizzando questo parametro per tutti i dipendenti, compresi anche dirigenti e altri che non usufruiscono dell’istituto (già, per altro, interessati dal taglio del 5% della retribuzione se superiore a 90.000 euro e del 10% se superiore a 150.000) si potrebbe ottenere un risparmio di circa 2.500 milioni.Si potrebbe osservare che in tal modo il legislatore prevaricherebbe il ruolo dei sindacati e della contrattazione, fonte del trattamento economico dei dipendenti pubblici. È facile, tuttavia, osservare che il legislatore, mosso dalla situazione di emergenza, ha già più volte scavalcato la contrattazione, proprio col suo blocco e che anche il taglio ai buoni pasto o alla tredicesima avrebbe lo stesso difetto. C’è da prendere atto dell’errore di aver pensato che il lavoro pubblico potesse essere regolato solo dai contratti collettivi. La situazione di crisi dimostra che le politiche economiche non possono non tenere conto della spesa pubblica connessa al personale.
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