Doveva essere un’iniziativa per armonizzare il lavoro pubblico alle riforme già avviate nell’ambito del lavoro privato. Invece, il disegno di legge delega elaborato dal Ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi, in stretta attuazione dell’accordo siglato con i sindacati lo scorso 3 maggio, finisce per essere un semplice rinvio a tempi migliori. E non aiuta certo a spegnere l’incendio innescato dal Ministro Fornero, che nei giorni scorsi ha auspicato che l’attuazione della delega per la riforma del lavoro pubblico non crei disuguaglianze col lavoro privato, in particolare per la disciplina dei licenziamenti.Ma proprio la piena conformità tra regolamentazione dei licenziamenti nel settore privato e in quello pubblico è la grande assente del ddl, che si limita a posporre ai successivi nove mesi dalla sua approvazione l’attuazione delle delega legislativa da parte del Governo. Probabilmente Palazzo Vidoni spera che nel frattempo la riforma-Fornero vada in porto, così da poter avviare l’«armonizzazione» che nel disegno di legge altro non è se non un’ambizione.Nel merito, infatti, l’articolo 1, comma 1, del ddl indica l’obiettivo normativo dell’«armonizzazione della disciplina del mercato del lavoro pubblico con quella del lavoro privato relativamente all’individuazione delle tipologie di contratto di lavoro flessibile applicabili, alle cause di licenziamento e relative tutele, alle forme di mobilità, volontaria e obbligatoria nonché alla responsabilità disciplinare dei dipendenti» pubblici. Non si può fare a meno di notare che questa disposizione si limita a ripetere, con maggiore diffusione e qualche dettaglio in più, gli stessi concetti già espressi nell’articolo 2 del disegno di legge-Fornero.Né i criteri previsti per indirizzare l’attività legislativa del Governo appaiono maggiormente chiari. L’articolo 2 del ddl alla lettera a) indica al Governo il criterio di far convergere gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, nel rispetto delle peculiarità del settore pubblico. Previsione sostanzialmente coincidente con quanto già dispone l’articolo 2, comma 2, del dlgs 165/2001. Più rimarchevole, semmai, è l’intento di rivedere la normativa vigente allo scopo di favorire «il più ampio accesso ai pubblici uffici da parte dei cittadini degli stati membri dell’Unione europea, senza limitazioni derivanti dal luogo di residenza dei candidati». Sembra chiaro: Palazzo Vidoni intende cancellare l’ultimo periodo dell’articolo 35, comma 5-ter, del dlgs 165/2001, che consente ai bandi di concorso di limitare la partecipazioni sulla base della residenza, in contrasto con la Costituzione e il Trattato Ue.Il ddl glissa anche sulle tutele. Non affronta per nulla il tema dell’applicabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e sui licenziamenti disciplinari prevede la tipizzazione delle ipotesi previste dalla legge e delle connesse tutele, indicando al Governo di prevedere il «rafforzamento dei doveri disciplinari dei dipendenti e dei dirigenti secondo le rispettive competenze, attribuzioni e responsabilità».Sul tema della regolazione del rapporto di lavoro, il ddl afferma la necessità di salvaguardare il reclutamento mediante concorso e il ruolo del contratto a tempo indeterminato come strumento dominante per coprire il fabbisogno di personale.Conseguentemente, le forme di lavoro flessibile debbono limitarsi a sole esigenze «temporanee o eccezionali». La legge delegata dovrà indicare con precisione quali forme flessibili sono attivabili nell’ambito pubblico, regolando anche le procedure di reclutamento.In ogni caso, occorrerà «contrastare l’uso improprio e strumentale» del lavoro flessibile: il ddl promette il rafforzamento della responsabilità dirigenziale e delle sanzioni, nel caso di abuso. Tuttavia, per i settori sanità, ricerca e istruzione scolastica sarà possibile una regolamentazione speciale e più aperta all’utilizzo del lavoro flessibile, date le peculiari necessità di tali settori, nei qua l’incidenza di rapporti a termine è connaturata all’organizzazione per progetti o picchi lavorativi.Il ddl dedica anche uno spazio alla soluzione del problema del precariato nella pubblica amministrazione, indicando al legislatore delegato di «valorizzare nei concorsi l’esperienza professionale acquisita con rapporto di lavoro flessibile, tenendo conto delle diverse fattispecie e della durata dei rapporti», così da rendere spendibile l’esperienza svolta da chi ha lavorato con rapporti flessibili nella pubblica amministrazione. Non solo: il legislatore delegato potrà anche riaprire il capitolo delle «stabilizzazioni», sia pure per specifici settori; il ddl prevede allo scopo una «apposita valutazione» che dovrebbe considerarsi rispettosa dell’articolo 97 della Costituzione.Infine, si può evincere un passo indietro rispetto alla «stretta» al part-time imposta dalle varie leggi avviate dall’ex ministro Brunetta. Il ddl, allo scopo di conciliare l’attività lavorativa con le esigenze familiari, indica di al legislatore delegato di valorizzare la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale.
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