In realtà l´articolato è piuttosto sfumato e generico. Si tratta per lo più di «principi e criteri direttivi» da tradurre nei prossimi nove mesi in altrettanti decreti legislativi che il governo potrà poi integrare e correggere nel biennio dalla loro entrata in vigore. Tempi lunghissimi, dunque. Tuttavia la polemica si concentra sull´applicazione del nuovo articolo 18, come riscritto dalla riforma Fornero, ai lavoratori pubblici. I licenziamenti discriminatori non creano problemi, perché disciplinati in modo analogo al settore privato. Quelli per motivi economici rispondono alle regole già in vigore sulla mobilità obbligatoria per due anni del dipendente statale in caso di esuberi, all´80% dello stipendio, con l´eventuale perdita del posto se non si trova una ricollocazione. Il ministro Patroni Griffi si è detto pronto a presentare entro l´estate le nuove piante organiche, per avere un quadro delle eccedenze di personale, anche in vista della spending review, la revisione della spesa pubblica.
Rimangono i licenziamenti disciplinari. Sul punto la delega, in realtà, è molto vaga: «riordinare la disciplina» con «la tipizzazione delle ipotesi legali e le relative tutele». Una formula neutra che non dovrebbe dare fastidio (il ministro vorrebbe che sul tema si pronunciasse il Parlamento). Ma che invece diluisce il protocollo firmato il 3 maggio da tutti i sindacati, gli enti locali e lo stesso governo, laddove si prevede di «rafforzare i doveri disciplinari dei dipendenti» a fronte di «garanzie di stabilità». Ovvero: se il licenziamento disciplinare è illegittimo il dipendente pubblico deve essere reintegrato e mai indennizzato, a differenza del privato. La versione “soft” per rabbonire la Fornero con ogni probabilità sarà contestata dai sindacati, il cui ruolo tra l´altro viene rafforzato dalla stessa delega che parla di «esame congiunto» nei processi di riorganizzazione e ristrutturazione delle amministrazioni, mobilità compresa. Un «vincolo di ascolto» molto importante. Altro punto conteso è infine la valutazione delle “performance”. Il ddl di fatto modifica la riforma Brunetta e torna a un sistema di valutazione affidato al dirigente che sceglie chi premiare, anche in base alla performance del suo ufficio, e non solo del singolo.
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