Resta un pasticcio l’estensione della riforma del lavoro per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche.In queste ore, le prime analisi sul testo del disegno di legge di Elsa Fornero hanno sostenuto che esso conterrebbe una delega legislativa. Le cose non stanno affatto in questo modo ed, anzi, il testo dell’articolo 2, dedicato alla questione, introduce difficoltà operative non di poco conto, oltre che istituti innovativi, come l’affidamento ad un ministro dell’iniziativa di una legge delega.Vediamo nel concreto cosa indica il comma 1 dell’articolo 2 del ddl: «le disposizioni della presente legge, per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, in coerenza con quanto disposto dall’articolo 2, comma 2 del medesimo decreto legislativo».La disposizione è piuttosto contorta. Ma, sostanzialmente essa afferma l’ovvio e quanto da molti giorni sostiene ItaliaOggi: la riforma del mercato del lavoro non può non applicarsi anche al lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Ciò perché non solo ogni regola dello Statuto dei lavoratori e sue successive modificazioni è direttamente operante come disposizione cogente, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, del dlgs 165/2001, ma anche perché l’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo estende al lavoro pubblico l’efficacia di tutte le leggi che disciplinano il lavoro nell’impresa privata, ferme restando regole «speciali» poste in via peculiare per il lavoro pubblico dal medesimo dlgs 165/2001 e la necessità di specifici adeguamenti.Per questo, prudenzialmente il comma 1 dell’articolo 2 della riforma-Fornero afferma che l’applicazione delle nuove regole sul avviene per principi: ma in realtà il meccanismo del cosiddetto «rinvio dinamico» di cui all’articolo 2, comma 2, del dlgs 165/2001 alla normativa privatistica, salve le peculiarità pubblicistiche, implica la tracimazione diretta di tutte le regole del lavoro privato non incompatibili con quelle del lavoro pubblico.Esemplificando, gran parte della regolamentazione della riforma concernente i lavori flessibili non può essere estesa al lavoro pubblico, perché lo impedisce l’articolo 97 della Costituzione, che impone il reclutamento mediante concorso. Ulteriore esempio è l’estraneità del lavoro pubblico al sistema degli ammortizzatori sociali, con l’unica eccezione dell’Aspi per i lavoratori a tempo determinato.Ancora, la peculiarità del lavoro pubblico non consente di limitare a soli 36 mesi i periodi di lavoro dei dipendenti a tempo determinato, se il cumulo delle mensilità dipenda dal superamento di più concorso presso lo stesso ente: il concorso impedisce la chiamata diretta e, dunque, rende impossibile la volontaria concatenazione di più lavori precari che oltre i 36 mesi costituisce, nel solo lavoro privato, causa di trasformazione in lavoro a tempo indeterminato.Il comma 2 dell’articolo 2 della riforma-Fornero è la norma che ha tratto in inganno molti, inizialmente considerata come «delega legislativa». Il testo dimostra che non è così: «A tal fine il ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche».A meglio vedere, si scopre che il governo non è delegato, come invece prevede l’articolo 76 della Costituzione, ad elaborare una legge delegata. Del resto, come si nota, manca l’indicazione di principi e criteri direttivi ai quali il governo dovrebbe attenersi.Invece, si tratta di un incarico, inserito in modo a dir poco originale in una norma di legge, rivolto al ministro della funzione pubblica, per studiare, sentendo i sindacati, strumenti volti ad armonizzare le regole del lavoro pubblico alla riforma, nel tentativo, dunque, di smussare gli angoli di eventuali questioni interpretative. Il titolare di Palazzo Vidoni a questo scopo si farà, non si sa quando, latore di successive ed eventuali iniziative legislative.Insomma, il quadro risulta piuttosto offuscato, anche se nell’immediato le regole vigenti e contenute nel dlgs 165/2001 conducono necessariamente alla diretta applicazione delle regole della riforma già compatibili col lavoro pubblico. Ivi compreso il «reintegro del reintegro» con riferimento all’articolo 18, fermo restando che la regolamentazione degli esuberi per ragioni finanziarie nella p.a. resta comunque più severa di quella relativa al licenziamento per ragioni economiche nel lavoro privato.
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