Tetto ai manager senza sconti

Stipendi pubblici. Le Camere danno parere favorevole al Dpcm ma chiedono di modificare la legge con il Dl semplificazioni

Marcello Serra 1 Marzo 2012
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ROMA – Il tetto agli stipendi dei dirigenti pubblici ha superato quasi indenne le “forche caudine” del Parlamento. Le commissioni Lavoro e Affari costituzionali delle due Camere hanno dato ieri il loro via libera al Dpcm che, nell’attuare la stretta contenuta nella manovra di Natale, fissa a 294mila euro la soglia massima delle retribuzioni nelle Pa statali. Confermandone l’applicabilità ai contratti in corso e riservando al governo la facoltà di disporre le eventuali deroghe. Tutto ciò in attesa che un emendamento al decreto sulle semplificazioni chiarisca definitivamente i dubbi interpretativi emersi nel corso della discussione parlamentare. A ogni modo, affinché, il limite sia effettivamente operativo il decreto dovrà tornare in Consiglio dei ministri per il sì definitivo. Alla fine il temuto svuotamento della norma antiretribuzioni d’oro nella Pa non c’è stato. Al Senato il Dpcm ha ottenuto il parere favorevole delle commissioni competenti senza particolari problemi; qualche sforzo di sintesi in più è servito invece alla Camera dopo che la bozza iniziale messa a punto dai relatori, Donato Bruno (Pdl) e Silvano Moffa (Popolo e territorio), sembrava smontare in più punti le soluzioni adottate nel provvedimento. In realtà, la mediazione affidata all’ex ministro pidiellino Renato Brunetta e al democratico Gianclaudio Bressa e le forti pressioni dei centristi hanno portato a un parere definitivo molto più “morbido” nei confronti dell’esecutivo rispetto a quello iniziale. Rafforzato peraltro dalla larga maggioranza con cui è stato approvato. L’unico voto contrario infatti è giunto dalla Lega mentre Linda Lanzillotta (Api) si è astenuta. I punti più controversi erano due: la possibilità di sottoporre al tetto i rapporti contrattuali attualmente in corso e l’inclusione delle authority tra le amministrazioni interessate. In entrambi i casi il documento finale ha scelto la via del compromesso. Sull’applicazione a tutti i dirigenti e da subito – come ribadito in più occasioni dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi – i deputati si sono limitati a «prendere atto di quanto dichiarato dal Governo durante il dibattito». E cioè «che non vi sarebbero ostacoli ad una immediata applicazione, in quanto, in presenza di inderogabili esigenze di contenimento della spesa, si potrebbe legittimamente incidere, senza alcuna gradualità e senza operare alcuna differenziazione in ordine alla natura delle retribuzioni erogate, su trattamenti retributivi in corso». Mettendo però in guardia i ministri dal rischio che un’interpretazione del genere produca un contenzioso eccessivo e, di conseguenza, un esborso superiore ai risparmi attesi. Quanto alle Pa coinvolte il parere passa la palla all’esecutivo che potrà disporre delle eventuali deroghe a due condizioni: dare atto «con rigorosa motivazione, delle ragioni giustificative della deroga» e limitarle alle «posizioni di più alto livello di responsabilità». Circa le divergenze tra la norma primaria (l’articolo 23-ter del decreto salva-Italia) che non cita le authority tra le Pa destinatarie e il Dpcm che invece le include, i parlamentari hanno invocato un’interpretazione autentica del governo. Che dovrebbe arrivare sotto forma di un emendamento al Dl semplificazioni. Probabilmente la prossima settimana quando il provvedimento arriverà in aula a Montecitorio. In quel testo potrebbe anche essere inserita una direttiva agli enti territoriali (regioni, asl, comuni) affinché introducano lo stesso tetto per i loro dirigenti. Tetto che potrebbe però perdere il riferimento al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione dopo che alcuni parlamentari hanno fatto notare come tale parametro non sia oggettivo ma vari a seconda dell’anzianità del presidente di turno. In alternativa, dunque, potrebbe essere inserita nella disposizione originaria la cifra a cui attenersi: gli attuali 294mila oppure un più tondo 300mila. Tutti temi su cui Patroni Griffi non si è finora sbottonato. «Valuteremo attentamente i pareri», ha dichiarato ieri il titolare di Palazzo Vidoni che ha però assicurato: «Andremo fino in fondo». Come e quando lo deciderà il premier Mario Monti nelle prossime ore.

TETTO AGLI STIPENDI

La manovra di Natale
L’articolo 23-ter del decreto 201/2011 ha stabilito per i dirigenti delle amministrazioni centrali un tetto alle retribuzioni pari al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Stabilendo inoltre che, delle retribuzioni corrisposte per eventuali altri incarichi, il diretto interessato possa trattenere al massimo il 25 per cento

Il decreto attuativo
In netto anticipo rispetto ai 90 giorni concessi dalla manovra di Natale, il governo ha emanato il Dpcm attuativo dell’ar-ticolo 23-ter del Dl «salva-Italia». Il provvedimento estende l’applicazione della soglia alle authority e fissa in 304mila euro lo stipendio massimo. poi rivisto al ribasso a 294mila dopo le verifiche del ministro della Pa, Filippo Patroni Griffi

Il sì delle Camere
Le commissioni Affari costituzionali e Lavoro di Camera e Senato hanno dato ieri parere favorevole al Dpcm che torna a Palazzo Chigi per il via libera definitivo. Nel documento i parlamentari dicono sì all’applicabilità immediata del tetto ma mettono in guardia dal rischio di contenzioso che potrebbe derivarne. Al tempo stesso auspicano modifiche alla norma originaria per consentire l’applicazione alle authority. Modifiche che potrebbero arrivare con un emendamento al Dl semplificazioni all’esame della Camera

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