P.a., i lavoratori chiedono equità

Dopo lo sciopero di dicembre, Confsal-Unsa annuncia ulteriori iniziative a tutela dei redditiBattaglia: la ripresa deve partire dai rinnovi dei contratti

Marcello Serra 11 Gennaio 2012
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Alla vigilia dell’incontro tra la delegazione della Confsal, quarta confederazione sindacale italiana, e il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, in programma domani 12 gennaio nella sede della funzione pubblica, incontriamo Massimo Battaglia, segretario generale della Federazione Confsal-Unsa, organizzazione sindacale rappresentativa dei lavoratori dei ministeri.Domanda. Segretario, innanzitutto come è andato lo sciopero generale del 19 dicembre scorso proclamato dalla Confsal e dalla Confsal-Unsa?Risposta. Lo sciopero è andato molto bene, sia per la partecipazione dei lavoratori sia per la mobilitazione dell’organizzazione sindacale. Per quanto riguarda il primo aspetto il dato registrato dalla funzione pubblica parla di un 11,21% di adesioni nei ministeri, con 9.818 scioperanti su un campione di 107.469 rilevati. Il dato seppur parziale ha una buona accuratezza statistica ed è vicino alla realtà. È un risultato positivo, soprattutto perché registrato in una situazione di grande difficoltà economica dei lavoratori. Anche se grazie ai nostri iscritti interi uffici sono rimasti chiusi in segno di protesta, devo dire che tante persone ad esempio ci hanno telefonato per solidarizzare con l’iniziativa di sciopero ma che pur avendo in cuore il desiderio di parteciparvi, non lo hanno potuto fare per non subire la ritenuta di 100 euro sullo stipendio prevista in caso di adesione. Siamo arrivati a questo in sostanza, alla compressione di un diritto costituzionale quale è quello della protesta democratica attraverso l’astensione dal lavoro. Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello della mobilitazione sindacale, sono altrettanto soddisfatto per ciò che abbiamo realizzato con la sfilata dimostrativa per le vie di Roma, con il presidio a piazza Farnese sempre a Roma, e con la presenza in molte città d’Italia davanti alle prefetture, come ad esempio a Genova, Lecce, Forlì, Salerno, Messina, Caltanissetta, Cuneo.D. Scusi segretario, però avete fatto uno sciopero contro la prima mossa di questo governo, mentre non lo avete fatto per anni anche se il pubblico impiego è stato pesantemente attaccato, prima con il dl 112/08, poi con la riforma Brunetta, poi con le diverse finanziarie. È quantomeno singolare come scelta, non trova?R. Guardi, chiunque pensi che non abbiamo fatto scioperi contro il governo Berlusconi per una qualsiasi sorta di vicinanza politica con esso si sbaglia di grosso. Noi siamo autonomi da tutto e da tutti. Questa è la nostra forza e il nostro ideale di partecipazione sindacale. Lo sciopero del 19 dicembre è inserito in un chiarissimo percorso politico, iniziato con un forte senso di responsabilità nel 2008 per affrontare la crisi finanziaria internazionale originata dagli Stati Uniti; tale percorso è poi giunto a farci affermare, già al governo Berlusconi in pieno 2011, che per noi la misura era colma e che avremmo risposto con durezza, anche scioperando, in caso di ulteriori penalizzazioni. Abbiamo messo in campo una pluralità di strumenti per affrontare la complessa situazione del nostro paese. Abbiamo mantenuto i canali politici aperti, grazie al senso di responsabilità, e abbiamo portato risultati concreti ai lavoratori; mi riferisco, solo per fare due esempi, allo sblocco del salario accessorio individuale e alla difesa delle tredicesime. Sono risultati raggiunti grazie alla scelta del dialogo invece che a quella ideologica dello sciopero ripetuto. Lo sciopero di dicembre non nasce quindi con il governo Monti, ma è una logica conseguenza di tutte le ripetute misure che negli anni hanno colpito soprattutto la nostra categoria. È ora di trovare i soldi dove stanno, nelle sacche di privilegi, sperperi e collusioni che danneggiano il nostro paese e avvelenano i rapporti sociali. D. State pensando a ulteriori iniziative?R. Sì. Abbiamo preso atto delle conseguenze negative della manovra e valuteremo gli esiti dell’incontro di domani tra il ministro Patroni Griffi alla funzione pubblica e la Confsal. Continueremo a denunciare le sperequazioni dei sacrifici richiesti e non escludiamo di ritornare in piazza per denunciare la totale mancanza di equità che si sta ancora una volta realizzando.D. Ma quali sono gli effetti della manovra sui lavoratori pubblici che il sindacato lamenta?R. Gli effetti sono drammatici e sono molteplici. Da un lato ci sono misure che colpiscono il dipendente pubblico in qualità di cittadino dal reddito medio-basso; di fatto stiamo parlando di una fascia sociale che si sta impoverendo e indebitando sempre di più e ciò distrugge la sua capacità di sostenere il rilancio della domanda interna, destinata perciò ad avvitarsi su sé stessa, rendendo di fatto il sistema paese incapace di uscire dalla palude. Sto parlando, pertanto, delle misure quali l’introduzione della tassa sulla prima casa, l’innalzamento delle accise sui carburanti e delle bollette energetiche. Poi ci sono durissime norme che ci colpiscono come lavoratori, quali l’ennesimo intervento sulle pensioni, che di fatto ruba tempo e denaro ai dipendenti dopo anni di oneste contribuzioni e che ostacola il ricambio generazionale.D. Per comprendere la situazione reale dei dipendenti rispetto a questa ennesima manovra, ci può fare un caso specifico di un ministeriale e della sua famiglia?R. Punto primo, e che sia chiaro, la stragrande maggioranza dei dipendenti dei ministeri ha uno stipendio che oscilla dai 1.200 ai 1.500 euro. Siamo lontani anni luce dagli stipendi dei manager, pubblici o privati che siano, i cui emolumenti vorrei capire da cosa sono giustificati. Prendiamo il caso tipico di una famiglia monoreddito con un figlio a carico, a livelli retributivi sopra descritti. Consideriamo il pagamento di un affitto o della rata del mutuo, le nuove tasse introdotte sulla casa con base imponibile allargata, il passaggio dell’Iva al 21% che diventerà forse il 23%; aggiungiamoci la stangata delle addizionali regionali Irpef, che potranno arrivare anche all’1,73%, come sarà forse per il Lazio che versa in condizioni economiche disastrose, ma non per colpa dei cittadini, si capisce come il reddito famigliare subisca un’emorragia ininterrotta in direzione di mille rivoli di prelievo. Anche l’Istat, di cui più volte abbiamo denunciato i dati aggregati che non lasciavano trasparire la grande sperequazione degli stipendi del pubblico impiego, ha denunciato la crescente forbice tra prezzi al consumo e buste paga. Come sindacato abbiamo il polso della situazione perché parliamo con la gente tutti i giorni; ma mi chiedo come fa la classe politica a non porsi il problema di trovare concrete soluzioni per risolvere questa desertificazione del benessere in cui ci ha condotto proprio la cattiva gestione delle risorse pubbliche. È urgentissima una nuova politica fiscale e di sostegno al reddito.D. Cosa chiede al governo Monti?R. Chiediamo ciò che è stato fatto nel privato, cioè siglare i contratti di lavoro dei dipendenti. Il nostro contratto è scaduto il 31 dicembre 2009. Lei mi chiederà dove reperire le risorse, in una situazione del genere. Come sempre è questione di volontà politica. Il governo ha fatto una manovra da 20 miliardi di euro. Il rinnovo dei contratti ne costa 3 miliardi e mezzo. In Italia c’è un’evasione fiscale stimata per oltre 250 miliardi annui. Se si vuole, le risorse si trovano. Noi esigiamo una vera equità, e l’equità passa per il sostegno concreto dei redditi medio bassi. Inoltre chiediamo che venga corretto l’art. 23-ter della legge 214-2011 (salva-Italia) che prevede la possibilità di definire, con un semplice decreto del presidente del consiglio, tutti gli stipendi dei dipendenti pubblici: è un attacco gravissimo alla cultura della negoziazione tra datore di lavoro, lo stato, e i suoi lavoratori. Chiediamo che questa norma sia riferita esplicitamente solo alle posizioni apicali, indirizzandola ad una razionalizzazione dei costi della spesa pubblica. D. Quali sono le ricadute sul comparto ministeri delle diverse misure legislative adottate in questi anni?R. La politica realizzata verso il pubblico impiego ha prodotto danni gravissimi. Come associazione di lavoratori siamo stati d’accordo sull’esigenza di migliorare la produttività della p.a., ma la strada intrapresa non ci sembrava corretta sotto molti profili, di merito e di metodo, come ad esempio riguardo alla fissazione rigida delle fasce di merito su cui basare il riconoscimento del salario accessorio. Assurda poi è stata la politica dei tagli lineari che hanno compromesso la capacità dei dicasteri di ottemperare ai propri compiti istituzionali. Poi non ci si lamenti se crollano i reperti archeologici mandando in pezzi l’immagine turistica del paese o se affoghiamo nell’arretrato della giustizia che arena anche i rapporti commerciali tra le imprese. L’approccio della spending-review è positivo, ma mi chiedo perché non è stato introdotto anni fa? Inoltre tutto il settore soffre terribilmente dalla mancanza del turnover: con una disoccupazione giovanile nazionale tornata al 30%, stiamo commettendo l’errore di privarci di una grande energia motivazionale accompagnata da una preziosa competenza informatica capace di rivitalizzare il sistema produttivo pubblico e di innalzarne la produttività.D. Tra due mesi ci saranno le elezioni Rsu che vedranno impegnate tutte le organizzazioni sindacali rappresentative. È un appuntamento importante per la vita del sindacato. Cosa si aspetta?R. È un’ottima occasione per i lavoratori per dimostrare alle amministrazioni e alla classe politica la capacità di mobilitarsi per eleggere i propri delegati sindacali territoriali; in più è una chance per lottare insieme al sindacato e dare ad esso una maggiore forza rappresentativa nei rapporti politici con la classe dirigente. Solo insieme si possono ottenere risultati degni di nota. Non ho mai creduto nella lamentela fine a sé stessa, del tipo «dove era il sindacato quando hanno fatto quella legge?». Il sindacato è un attore sociale e trae la sua forza politica dalla capacità dei lavoratori di lottare insieme. Ecco perché credo, oggi più che mai, che abbiamo bisogno di sindacato. Ed ecco perché credo che la Federazione Confsal-Unsa avrà un risultato sicuramente positivo, che premierà il lavoro svolto in tanti anni che ha visto alternare risposte flessibili e risposte intransigenti in relazione alle diverse misure dei diversi governi.

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