I toni del dibattito scaturito all’indomani dell’entrata in vigore dell’articolo 8 della manovra-bis sulla derogabilità di contratti nazionali e legislazione nazionale nel contratto di secondo livello, non hanno consentito di esaminare le esigenze organizzative che possono spingere datore di lavoro e sindacati a sfruttare le nuove regole. Partendo da questa chiave di analisi, sarebbe utile verificare le potenzialità di applicazione della norma alle Pa, in questa fase storica di riduzione significativa della spesa pubblica, che impone di superare i tagli lineari per arrivare a una riorganizzazione della struttura. Il settore pubblico ha visto, in questi ultimi anni, fortemente limitato il secondo livello di contrattazione, in particolare per contenere la spesa del personale cresciuta a livello decentrato.
L’applicabilità di un meccanismo come quello dell’articolo 8 dovrebbe quindi riguardare gli aspetti ordinamentali, e accrescere la flessibilità nelle prestazioni, nel rispetto dei limiti di spesa previsti dalle norme di finanza pubblica. Un ottimo strumento di volano, ma anche di corretta e finalizzata applicazione della deroga, potrebbe essere costituito dai piani di razionalizzazione dell’articolo 16 del DL 98/2011, che ora andrebbero resi obbligatori. Gli stessi riferimenti contenuti nella lettera alla Ue su mobilità, utilizzo della cassa integrazione e superamento della dotazione organica rischiano di rivelarsi vuoti e ridondanti, rispetto a quanto già è previsto e non si fa, senza un’idea di pianificazione. Serve uno strumentario complessivo, in grado di accompagnare questa fase di ristrutturazione del settore pubblico, che consenta agevolmente di spostare, riqualificare e riconvertire il personale. In alcuni casi occorrerà favorire l’esodo anticipato con 35 anni di contributi, superando però la contraddizione fra le norme sulla risoluzione anticipata e la finestra mobile di 15 mesi, in altri si dovrà consentire l’applicazione accompagnata della legge 223/1991, in presenza di piani industriali o nei casi di soppressione o crisi finanziaria dell’ente. La gestione del personale nel settore pubblico richiede una serie di flessibilità, essenziali per salvare posti di lavoro e riconvertire il personale in servizio. Un vincolo presente oggi riguarda la dotazione organica e il profilo acquisito dal dipendente, che spesso si troverebbe in eccedenza rispetto a una dotazione di dettaglio ed aggiornata o, realisticamente, rispetto ai reali carichi di lavoro e fabbisogni di competenze.
Ragionando sulle competenze, si scopre infatti che il settore pubblico soffre di eccedenze in alcuni campi, ma anche di vacanze in altri settori. Molte progressioni hanno creato eccedenze di personale in alto, mentre le esternalizzazioni di funzioni e servizi hanno in alcuni casi creato eccedenze di personale nelle aree o categorie più basse. Si tratta di eccedenze percepite dal dirigente, ma non facilmente formalizzabili, soprattutto in presenza di dotazioni organiche generiche e per nulla rappresentative dei reali fabbisogni delle pubbliche amministrazioni. Un primo elenco di strumenti utili è presto fatto: un accordo quadro sulle equiparazioni o un decreto per consentire la mobilità intercompartimentale; la possibilità di derogare con il contratto integrativo alla normativa sulle mansioni, sull’utilizzo delle ferie e sui limiti all’orario di lavoro; infine una deroga sul requisito minimo di 40 di contributi per la risoluzione unilaterale, con la possibilità di adottare la risoluzione con 35 anni di contributi, in presenza di piani di riduzione. Uno strumentario da arricchire, ma che comunque richiede a monte di politiche e piani di razionalizzazione che da anni la politica promette senza essere in grado però di proporli e soprattutto di realizzarli.
Francesco Verbaro
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