Rafforzati i poteri delle pubbliche amministrazioni per trasferire i dipendenti che risultino in esubero, ma senza le norme sulla mobilità o sulla cassa integrazione proprie dell’ordinamento privato.
È ancora molta la confusione a cui si assiste nei dibattiti rispetto alla portata della modifica all’articolo 33 del dlgs 165/2001.
Molti commentatori e osservatori sintetizzano l’emendamento al ddl stabilità, presentandolo come se esso introducesse nella pubblica amministrazione la mobilità obbligatoria e la cassa integrazione per i dipendenti in esubero, cui spetta per la durata di 24 mesi lo stipendio base, ridotto del 20%.
Le cose non stanno così. In effetti il testo ancora oggi vigente dell’articolo 33 del dlgs 165/2001 prevede esattamente gli stessi strumenti: e cioè che nel caso in cui uno o più dipendenti siano dichiarati in esubero, in quanto non più utilmente impiegabili nell’ambito dell’organizzazione, né li si possa trasferire in altre amministrazioni, vengono messi «in disponibilità», cioè sulle soglie del licenziamento, per 24 mesi, nel corso dei quali percepiscono uno stipendio pari all’80% di quello precedente e sono vincolati ad accettare eventuali proposte di altre amministrazioni che intendano assumerli.
Tra il nuovo testo proposto dal maxiemendamento e il testo attualmente vigente dell’articolo 33 del dlgs 165/2001, allora, intercorrono sostanzialmente solo tre rilevanti differenze.
La prima discende dall’imposizione, in capo alle amministrazioni, dell’obbligo di procedere necessariamente ogni anno alla rilevazione del personale in servizio, per comprendere se emergano casi di lavoratori in eccedenza. Dunque, mentre nel testo attualmente vigente la situazione di esubero può essere evidenziata in modo episodico e contingente, in quanto discendente da particolari situazioni (ad esempio, l’esternalizzazione di funzioni), per effetto del maxiemendamento ogni datore di lavoro pubblico deve in modo continuativo, almeno ogni anno, controllare che la quantità dei dipendenti sia adeguata all’organizzazione e non vi siano eccedenze di personale. Tanto è vero, che il maxiemendamento sanziona l’inadempimento a effettuare la ricognizione annuale sull’eventuale soprannumero dei dipendenti col divieto assoluto di effettuare assunzioni a qualsiasi titolo. A tale sanzione si aggiunge, poi, la responsabilità dei dirigenti che non attivino le procedure per la mobilità o la messa in disponibilità del personale in esubero.
La seconda differenza concerne procedimento da seguire. Il maxiemendamento riduce al minimo le relazioni sindacali, limitandole ad una mera informazione. L’iter si deve concludere entro il breve volgere di 90 giorni, nel corso dei quali l’amministrazione deve sondare la possibilità di ricollocare i dipendenti in esubero all’interno delle sue strutture, anche modificando il contratto di lavoro.
La terza differenza consiste nella decisa spinta all’utilizzo della mobilità. Non si tratta, però, dell’istituto vigente nel settore privato: nell’ambito del lavoro pubblico per “mobilità” si intende il trasferimento di un dipendente da un ente all’altro. La regolamentazione della mobilità è contenuta nell’articolo 30 del dlgs 165/2001, che la qualifica come mobilità «volontaria», in quanto l’iniziativa per i trasferimenti è nei fatti rimessa alla volontà di ciascun dipendente di trasferirsi, anche se allo scopo occorre l’espressione di un consenso da parte dell’ente di appartenenza, trattandosi di cessione di contratto.
Per effetto del maxiemendamento la mobilità «volontaria», nei riguardi dei dipendenti in esubero, diviene, in effetti, «obbligatoria». Infatti, l’amministrazione procedente, può accertare che il dipendente in eccedenza possa essere utilmente ricollocato presso un’altra amministrazione, appunto mediante la mobilità. In questo caso, può stipulare un accordo con l’altra amministrazione, per definire le modalità ed i tempi del trasferimento.
La spinta verso l’utilizzo della mobilità è forte, perché in questo modo si garantisce l’obiettivo di razionalizzare la distribuzione dei dipendenti presso le p.a.: quelle, infatti, che si ritrovino con un plafond ridondante di dipendenti, possono spingere i dipendenti in esubero a trasferirsi verso enti il cui organico risulti, invece, deficitario.
Laddove l’amministrazione che abbia accertato la condizione di esubero abbia stipulato con un’altra amministrazione un accordo per disciplinare la mobilità e i dipendenti eccedenti non accettino il trasferimento loro proposto, per detti dipendenti scatta la tagliola della messa «in disponibilità». Si tratta, cioè, di quella condizione che apre le porte a un potenziale licenziamento, nella quale il dipendente non presta alcuna attività lavorativa e percepisce, a titolo di indennità e non di retribuzione, una somma pari all’80% dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale, escluso qualsiasi altro onere retributivo, per un periodo non superiore ai 24 mesi.
Durante questo lasso di tempo, per effetto degli articoli 34 e 34-bis del dlgs 165/2001, le amministrazioni legittimate ad assumere, debbono verificare la presenza di dipendenti inseriti nelle liste di disponibilità con le province e il Dipartimento della funzione pubblica, perché in caso positivo sono obbligate a proporre a detti dipendenti l’assunzione, prima di fare i concorsi.
Dunque, il maxiemendamento non ha nulla a che vedere con la cassa integrazione e con la disciplina privatistica di tutela dei dipendenti licenziati, ma punta a rafforzare l’obbligo delle amministrazioni di razionalizzare la distribuzione quantitativa dei propri dipendenti, puntellando norme e regole già esistenti.
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