Mobilità, conta il fattore tempo

La Corte conti Lombardia toglie qualche certezza sul computo delle spese per il personale

Marcello Serra 14 Ottobre 2011
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Mobilità neutrale ai fini delle spese di personale solo se effettuata contestualmente in uscita e in entrata. La mobilità in uscita è invece cessazione se il dipendente trasferito non viene sostituito velocemente, entro l’anno finanziario. La deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia 29 settembre 2011, n. 498, toglie qualche certezza rispetto alla disciplina del computo delle spese di personale. Fin qui, gran parte della dottrina e la granitica giurisprudenza della magistratura contabile ha considerato la mobilità ininfluente ai fini del computo della spesa di personale, in particolare con riferimento alla disposizione contenuta nell’articolo 9, comma 2-bis, della legge 122/2010. Come è noto, tale disposizione impone agli enti locali di diminuire la dotazione finanziaria del fondo delle risorse decentrate in proporzione alla riduzione del personale in servizio. Dando per scontato che la mobilità non comporta un incremento di oneri di personale per la finanza pubblica, si è ritenuto che la fuoriuscita di dipendenti trasferiti per mobilità non costituisca presupposto per apportare la diminuzione delle risorse decentrate indicata dal citato articolo 9, comma 2-bis. La sezione Lombardia propone, però, una lettura diversa della norma. Secondo il parere reso dalla magistratura contabile, occorre partire dal presupposto che il conteggio finalizzato a costituire il fondo delle risorse decentrate avviene in base al numero di dipendenti in servizio presso l’ente. Di conseguenza, secondo la sezione il criterio di computo non può che «fondarsi sull’effettiva presenza in organico di personale». È, infatti, evidente che la riduzione del personale implica l’eliminazione dal fondo di alcune voci del finanziamento. Del resto, il meccanismo previsto dall’articolo 9, comma 2-bis, vuole tendere alla riduzione stabile della spesa di personale, erodendo il fondo in una misura (non ancora ben determinata) proporzionata alla differenza del personale in servizio a inizio e fine anno. Allora, ragiona la sezione Lombardia, «il venire meno di un’unità per mobilità esterna è da considerare personale cessato, quindi da prendere a riferimento ai fini applicativi dell’art. 9, comma 2-bis, citato». Per la prima volta, dunque, la mobilità in uscita viene apertamente assimilata a cessazione, ai fini della riduzione del fondo. Si tratta di una presa di posizione alla fine inevitabile. Infatti, se è vero che la mobilità non comporta una crescita della spesa di personale complessiva nella pubblica amministrazione, è altrettanto vero che il sistema di quantificazione di detta spesa non opera più a livello di singolo comparto, come ai tempi dell’articolo 1, comma 47, della legge 311/2004, ma esclusivamente con riferimento a ciascun singolo ente. Dunque, l’uscita per mobilità di un dipendente, non contestualmente sostituito da una mobilità in entrata, implica oggettivamente una riduzione di personale, da cui non può non derivare l’applicazione dell’articolo 9, comma 2-bis. E viene messa, indirettamente, in discussione la vigenza del citato articolo 1, comma 47, sin cui data per scontata, ma la cui compatibilità con la vigente normativa appare molto discutibile.

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