La pronuncia condanna il ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali (3mila euro, a cui si aggiungono i rimborsi forfettari e il contributo unificato) per il ricorso avviato da 13 dipendenti dello stesso tribunale, assistiti dall’Unione nazionale dei sindacati autonomi Confsal-Unsa. Ma il punto non è nella cifra riconosciuta dalla sentenza 51/2016 pubblicata ieri, ma nel «precedente» creato dai giudici, che apre la porta alle richieste di rimborso da parte dei dipendenti pubblici: «Abbiamo avviato contenziosi in un’ottantina di tribunali in tutta Italia», spiega Massimo Battaglia, segretario generale della Confsal-Unsa, che ora con il precedente di Reggio Emilia punta al riconoscimento giudiziario del danno da “mancato rinnovo”.
Ancora una volta, insomma, è un tribunale dell’Emilia Romagna a smuovere lo stagno della contrattazione nel pubblico impiego, che per ripartire attende l’aggregazione dei dipendenti pubblici in quattro comparti (l’atto di indirizzo per chiudere la lunga trattativa avviata da Aran e sindacati è stato firmato dal ministro della Pa, Marianna Madia, nei giorni scorsi; si veda Il Sole 24 Ore del 23 febbraio), premessa indispensabile posta dalla riforma Brunetta. A chiamare in causa la Consulta era stato il Tribunale di Ravenna, anche in quel caso per un ricorso avviato dai dipendenti del palazzo di Giustizia e promosso anche dalla Confsal Unsa, e i giudici delle leggi avevano salvato il vecchio blocco stabilendo però l’obbligo di rimuoverlo.
La sentenza è andata in Gazzetta Ufficiale il 29luglio, ma ovviamente i contratti non sono ripartiti il giorno dopo, per le incognite sui costi e gli obblighi di attuare la riforma Brunetta rimasta in naftalina per anni. Su questo secondo “ritardo” intervengono i giudici reggiani, aumentando l’urgenza di chiudere una partita che si presenta ancora intricata. Ad oggi, infatti, la strada per arrivare al traguardo dei rinnovi non sembra breve, perché alle incognite sui comparti seguiranno quelle sulle risorse.
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