L’elezione delle province penalizza i mini-enti

Marcello Serra 15 Aprile 2014
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Il nuovo sistema elettorale previsto dalla legge Delrio per città metropolitane e province favorisce i grandi comuni e rischia di marginalizzare quelli più piccoli. È quanto emerge dalle prime simulazioni condotte all’indomani del varo definitivo della riforma che trasforma gli enti di area vasta in enti di secondo livello (oltre a ridurne le funzioni, che dovranno essere riallocate attribuendole ai comuni o alle regioni). A dire il vero, tale epilogo non è ovunque scontato: nelle città metropolitane, infatti, lo Statuto (a certe condizioni) potrà prevedere l’elezione diretta del sindaco e dei consiglieri. Ma ciò potrà avvenire solo dopo l’approvazione della legge statale sul relativo sistema elettorale. Nel frattempo, l’elezione si svolgerà secondo le regole previste dalla legge 56/2014 e relativo allegato e sarà indiretta Nessuna alternativa all’elezione indiretta, invece, è prevista laddove si insedieranno le nuove province: il presidente sarà obbligatoriamente eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali, che sceglieranno anche i componenti del nuovo consiglio provinciale. Il sistema elettorale è in entrambi i casi di tipo plurinominale, con riparto proporzionale dei seggi nelle città metropolitane, mentre per le province vale il maggioritario: in tal caso, per la prima volta in Italia, i voti dovranno essere attribuiti non alla lista, ma direttamente ai candidati e i seggi disponibili verranno assegnati a quelli che avranno la maggiore più alta così via. . Il voto di ciascun elettore, però, non avrà sempre lo stesso peso di quello espresso dagli altri, ma sarà ponderato secondo la fascia demografica del comune di appartenenza. In particolare, i comuni sono suddivisi in 9 classi, che hanno come estremi quelli con meno di 3.000 e quelli con oltre 1 milione di abitanti. In pratica, più è piccolo il comune, meno pesante sarà il voto espresso dai suoi amministratori e viceversa. Il rapporto, nel complesso, è fortemente sbilanciato a favore dei comuni più grandi. Ad esempio, secondo le simulazioni condotte dall’Unione delle province piemontesi sulla futura città metropolitana di Torino, ogni voto espresso da un consigliere comunale del capoluogo avrà un peso ponderato pari a 853,659, mentre quello espresso da un suo «pari grado» di un piccolo comune (sotto i 3.000 abitanti) varrà appena 4,597. In pratica, il voto del primo varrà più di 185 volte quello del secondo.

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