Governo battuto, nell’aula del Senato, su un emendamento che revoca i privilegi alle pensioni dei top manager della Pubblica amministrazione. L’esecutivo aveva espresso parere contrario, così come il relatore, alla proposta di modifica presentata in tre versioni identiche dalla Lega, da Idv e dalla senatrice Pdl Ada Spadoni Urbani.
Alla fine il risultato è preoccupante per l’esecutivo: 124 voti a favore contro 94 contrari e 12 astenuti (che valgono come voto contrario). Ma è il dato politico a rappresentare una spia d’allarme per l’esecutivo: nei 124 voti a favore ci sono moltissimi senatori Pdl (come pidiellina è la senatrice che non era presente in aula e che non ha ritirato il proprio emendamento) che si sono aggiunti ai leghisti, facendo esultare Roberto Castelli per il ritorno della vecchia maggioranza.
In realtà, anche Idv ha votato la proposta (e anche qualche senatore Pd), mentre l’astensione è stata scelta da Api-Fli per il Terzo polo. Il senatore Pdl Antonio Battaglia ha spiegato così la situazione: “E’ un segnale chiaro per l’esecutivo, qui ci sono imprenditori che si suicidano ogni giorno mentre le banche che prendono soldi all’un per cento non aiutano l’economia. Così non si va avanti…”. Il governo non ha ancora deciso se ripristinare alla Camera il comma soppresso. “E’ ancora presto per stabilirlo” ha detto il sottosegretario allo Sviluppo, Claudio De Vincenti.
Il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera non si dice assolutamente preoccupato dal voto contrario al governo. ”Il Parlamento è alla fine domino su tutte le proposte, e quindi prendiamo atto di quanto avvenuto che ha sicuramente le sue ragioni”, ha spiegato.
L’emendamento approvato abroga il comma due del decreto legge all’esame del Senato, che lasciava il calcolo delle pensioni attraverso il sistema retributivo per i manager della pubblica amministrazione che entro il 22 dicembre del 2011 avevano maturato i requisiti per andare in pensione e decidevano di restare a lavorare.
Le disposizioni previste dal decreto legge di modifica, in sintesi, confermavano l’applicazione, sul piano previdenziale e contributivo, del principio pro-rata per il ristretto gruppo di aspiranti pensionati.
Unico vincolo posto dalla norma, per poter salvare la pensione dalle norme che tagliano gli assegni, era che i manager dovevano continuare a svolgere le medesime funzioni, fino alla fine della carriera lavorativa.
”Grazie alla Lega – commenta il vicepresidente dei senatori della Lega Nord, Roberto Mura, affossato il decreto salva-vergogna: in aula al Senato il governo è andato sotto sull’ emendamento riguardante la norma che prevedeva di non toccare le pensioni dei grandi commis di Stato. E’ stato così approvato un emendamento soppressivo di questa disposizione”.
”Con il decreto salva-Italia – afferma a proposito il senatore Sandro Mazzatorta che nel mese di aprile ha presentato l’emendamento al decreto banche per il tetto agli stipendi, pari a quello del primo presidente della Corte di cassazione, anche per i ‘dipendenti’ degli ‘organi costituzionali’ tra cui Senato, Camera e Presidenza della Repubblica – chi chiudeva la carriera nella Pubblica amministrazione in un paio d’anni senza cambiare l’attuale incarico, perdeva sì la differenza tra il vecchio stipendio e quello nuovo ma i contributi versati anche dopo la norma del taglia-stipendi, potevano, con questa norma scritta da una mano molto scaltra e piazzata in tempo giusto, essere tarati sui vecchi stipendi e non sul nuovo, cioè su quello ridotto”.
Soddisfatto il segretario generale dello Spi-Cgil Carla Cantone che sottolinea: ”L’abrogazione della norma del governo che puntava a salvare le pensioni dei manager della P.A. è sicuramente una buona notizia perché contribuisce a riaffermare un minimo livello di equità in questo Paese”.
”Non c’è infatti davvero nulla di equo – continua Cantone – nel garantire una super-pensione ad uno sparuto numero di alti dirigenti mentre milioni di persone che hanno lavorato duramente per 40 anni e che oggi hanno un reddito da pensione medio-basso si sono visti ingiustamente bloccare per sempre la rivalutazione annuale”.
E’ giunta l’ora, conclude il segretario generale Spi-Cgil, ”che il Parlamento si occupi dei pensionati italiani meno fortunati dei manager e che non sono di certo tra i tanti che hanno pensioni dorate adoperandosi per sostenere il loro potere d’acquisto, che è ormai ridotto al lumicino tra tasse, tariffe, prezzi e un costo della vita divenuto davvero insostenibile”.
Anche per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ”bene ha fatto il Parlamento a bocciare la norma sulle pensioni d’oro dei manager pubblici”. ”Sarebbe stato davvero assurdo oltre che ingiusto salvaguardare le pensioni degli alti dirigenti, mentre si blocca la perequazione delle pensioni medio basse e non si fa niente per migliaia di esodati senza reddito e senza pensione”, spiega il leader della Cisl.
(FONTE: Adnkronos)
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