Nella «manovra» altri 100 milioni agli Lsu di Napoli e Palermo. Nati con un Dl del 1984

Marcello Serra 20 Ottobre 2013
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Cambiano i governi, le Repubbliche e persino la moneta su cui sono costruite le finanziarie, i «tagli di spesa» si internazionalizzano e si trasformano nelle «spending review», ma un filo rosso lega le manovre degli ultimi trent’anni: il finanziamento statale ai Comuni e alle Province di Napoli e Palermo per pagare i lavoratori socialmente utili.

La legge di stabilità 2014 che ora arriva al Senato non fa eccezione. Puntuali, all’articolo 7 comma 6, arrivano 100 milioni di euro che Napoli e Palermo potranno dedicare alle «finalità di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 67/1997», che a sua volta faceva proseguire «gli interventi statali di cui all’articolo 4, comma 8, del Dl 148/1993», il quale, in questa infinita catena di Sant’Antonio, dava una nuova spinta agli «interventi di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, del DL 6/1991», scritto per portare avanti «l’intervento avviato con Dl 409/1984». In quell’agosto del 1984, quando il Governo Craxi scriveva il decreto 409, probabilmente Enrico Letta era in vacanza, a festeggiare la maggiore età appena raggiunta, ma a Napoli e Palermo arrivavano i primi soldi statali per i «Lavoratori socialmente utili».

La legge di stabilità che i senatori si apprestano a esaminare richiama un decreto del 1997, ma la cosa non deve ingannare. Il finanziamento statale per gli Lsu non è una meteora che solca il cielo delle finanziarie ogni 15 anni, ma un appuntamento fisso. Altri 100 milioni per la «prosecuzione degli interventi» avviati nel 1984 erano stati messi a disposizione dalla legge di stabilità dell’anno scorso (articolo 1, comma 265), mentre l’anno prima il tema era stato infilato dal Parlamento addirittura nel decreto «salva-Italia» del Governo Monti (articolo 30, comma 8-bis). Insomma, nemmeno la tempesta finanziaria e l’impazzimento dello spread sono riusciti a interrompere la tradizione del finanziamento annuale agli Lsu.

La questione, del resto, non si risolve con la bacchetta magica. La storia dei lavoratori socialmente utili di Napoli e Palermo è infatti l’esempio classico di come un intervento «di emergenza» si possa trasformare in un problema infinito, che negli anni si ingigantisce offrendo a certa politica strumenti per lucrare consenso con il ricatto di una precarietà eterna. I primi contingenti di «Lavoratori socialmente utili» erano composti da poche centinaia di persone, reclutate con stipendi ultraleggeri per offrire loro una via verso il reinserimento nel mondo del lavoro. Questo obiettivo non è mai stato raggiunto, anche perché le amministrazioni locali non l’hanno mai perseguito davvero, ma nel frattempo il dramma occupazionale nel Mezzogiorno si è aggravato ulteriormente, gli eserciti degli Lsu si sono ingigantiti, e con loro i costi.

L’unica prospettiva, allora, diventa l’eterno ritorno del finanziamento statale o, per i più fortunati, la stabilizzazione negli organici dei Comuni. Come sta accadendo proprio in queste settimane a 60 Lsu del Comune di Napoli, anche se Palazzo San Giacomo finora ha evitato il dissesto solo grazie alle anticipazioni di liquidità che fra decreto «salva-enti» e misure «sblocca-debiti» sfiorano il miliardo di euro, e andranno restituite. L’anno scorso il Comune ha superato il tetto che impedisce di dedicare agli stipendi più del 50% delle spese correnti complessive, al punto da vedersi contestare dalla Corte dei conti un danno erariale da 10,2 per l’assunzione di 350 spazzini assorbiti da Asia, la municipalizzata dell’igiene ambientale. E come hanno fatto, ora, a riaprirsi le porte per il reclutamento? Semplicemente, il Comune ha cambiato i criteri di calcolo, facendo uscire dal conto consolidato delle spese di personale l’Azienda di mobilità: l’indicatore del rapporto fra stipendi e spese correnti totali è sceso al 49,2%, e le assunzioni sono ripartite.

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