Tali normative hanno lo scopo di assicurare i principi costituzionali, primo fra tutti, in questo contesto, quello contenuto nell’art. 97, II comma, il quale prevede che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Le leggi e i regolamenti, dunque, sono di garanzia per l’Amministrazione e per la collettività, assicurando che sia scelto il personale migliore attraverso procedure imparziali e trasparenti.
In merito all’accesso alla qualifica di dirigente della seconda fascia, l’art. 28 del Testo unico del pubblico impiego richiede che l’accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione. La disposizione indica analiticamente i requisiti che i candidati devono possedere per essere ammessi al concorso per esami e al corso-concorso ma nulla si stabilisce in merito alle modalità di espletamento delle prove scritte. Tale disciplina si rintraccia nell’art. 5 del d.p.r. 24 settembre 2004 n. 272 appunto rubricato “Modalità di svolgimento delle selezioni”. Qui si prevede espressamente che il concorso pubblico per titoli ed esami consiste nello svolgimento di due prove scritte e di una prova orale. Nel caso di concorsi per l’accesso alla dirigenza tecnica l’amministrazione può prevedere una terza prova scritta obbligatoria, da indicare nel bando di concorso, volta alla verifica dell’attitudine all’esercizio degli specifici compiti connessi al posto da ricoprire. Tale prova consiste nella soluzione di questioni o problemi di natura tecnica inerenti all’esercizio dei compiti cui il dirigente deve essere preposto (previsione introdotta dalla lettera c) del comma V dell’art. 7, D.P.R. 16 aprile 2013 n. 70).
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