Le due donne sostenevano che la Corte d’Appello avesse violato gli articoli 2697 e 2729 del Codice civile in materia di onere della prova e di sentenza basata su fatti ignoti e presunzioni. Secondo le ricorrenti, sarebbe stato il datore di lavoro a dover fornire prova certa delle violazioni poste alla base del licenziamento, non solo in relazione al fatto in sé ma anche al movente di profitto.
L’analisi della Suprema Corte ha non solo determinato quale potesse essere il beneficio delle ex dipendenti (riposi compensativi e retribuzioni straordinarie), ma anche stabilito che nessun altro collega avrebbe potuto avere accesso ai loro cartellini per timbrarli a loro insaputa.
D’altronde, le due ricorrenti non avevano mai segnalato alla direzione le anomalie dei loro cartellini pur trovandosi a beneficiare di benefit ai quali non avrebbero avuto diritto in condizioni normali. Pertanto il licenziamento senza preavviso, previsto anche dalla contrattazione collettiva, è legittimo.
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