Le organizzazioni sindacali avevano spinto molti dipendenti pubblici ad adire il giudice del lavoro, al fine di farsi riconoscere il rimborso del prelievo forzato del 2,5% (sull’80% della base imponibile), avvenuto al momento del passaggio al Trattamento di Fine Rapporto, per i dipendenti pubblici assunti dopo il 31 dicembre 2000, per ottenere parità di prelievo dei dipendenti privati. Tuttavia, al fine di equiparare i medesimi lavoratori in regime di TFR con quelli in regime di TFS, le parti negoziali operavano un avvicinamento in termini di equiparazione al reddito netto. Tale operazione economica di uguaglianza avveniva, tuttavia, con una decurtazione del 2% in più rispetto al lavoratore privato. Al fine di comprendere i vari passaggi e la nuova questione avanzata di illegittimità costituzionale sul prelievo operato del 2,5% sull’80% del salario dei dipendenti pubblici in regime di TFR, è necessario ripercorre alcuni passaggi di due sentenze della Consulta che si è espressa in questo caso sul TFS.
Il passaggio al TFR e i dipendenti pubblici in TFS
Il problema, come si è detto, nasce dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 223/2018) che ha dichiarato incostituzionale il comma 10 dell’art. 12, del decreto legge. n. 78/2010 relativo all’introduzione del computo TFS secondo le modalità del TFR. A seguito della sentenza è intervenuto il legislatore con l’art. 1, del d.l. 29 ottobre 2012, n. 185 abrogativo dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78/2010, ripristinando la situazione antecedente. Il d.l. 185 è decaduto per mancata conversione in legge, ma i suoi effetti sono stati fatti salvi all’art. 1, commi 98 e 99, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
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