Massima
Risulta legittimo il licenziamento disciplinare emesso nei confronti di un lavoratrice a cui sono stati contestati plurimi accessi ad internet estranei all’ambito lavorativo.
Fatto
Una dipendente di uno studio medico lombardo, assunta a tempo parziale, è stata licenziata con l’addebito di aver abusato della possibilità di collegarsi ad internet dalla propria postazione di lavoro. Le vengono contestati circa seimila accessi in diciotto mesi, di cui più di quattromilacinquecento ai social network a cui si aggiungono siti di gioco e di intrattenimento.
L’impugnazione del licenziamento davanti ai giudici del merito non ha avuto buon esito.
La sentenza della Corte di Appello di Brescia viene impugnata in Cassazione adducendo che:
– la Corte d’Appello avrebbe erroneamente considerato come non contestati i documenti contenenti la cronologia internet, da cui poi è stata desunta la frequentazione della rete da parte della dipendente, in orario di lavoro e per ragioni esclusivamente personali estranee alla prestazione;
– non sarebbe possibile fondare la decisione sui report di cronologia e ciò sia per l’insufficienza di tale riscontro al fine di dimostrare la genuinità e la riferibilità alla lavoratrice degli accessi, sia per violazione delle regole sulla tutela della privacy;
– si contesta la mancata ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, finalizzata a ricostruire l’assetto del personal computer a cui risalgono gli accessi ad internet contestati e la riferibilità degli stessi alla ricorrente.
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