Abolizione delle Province, il governo ci riprova

Un piano per sostituirle con «collegi delle autonomie» composti dai sindaci

Marcello Serra 5 Luglio 2013
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Il disegno di legge costituzionale che il consiglio dei ministri dovrebbe approvare oggi è solo il primo passo del nuovo, ennesimo, tentativo di cancellare le Province. Un testo breve quello da discutere stamattina, e annunciato dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini dopo il vertice di maggioranza. Una proposta che si limita a cancellare ogni riferimento alle Province fatto nella Costituzione. In particolare dall’articolo 114, quello che al momento stabilisce come la Repubblica sia costituita, partendo dal basso, dai «Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». La vera riforma, però, arriverà tra una decina di giorni con un disegno di legge ordinaria. Prima di approvarlo il governo vuole aspettare che venga pubblicata la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il percorso tracciato dal governo Monti, in modo da evitare nuovi incidenti di percorso. Ma il testo è già pronto, 16 articoli ai quali si potrebbe aggiungere qualche passaggio, proprio per andare incontro ai rilievi della Corte. Cosa dice la nuova riforma? NOTIZIE CORRELATE A differenza di quanto fatto dal governo Monti, le Province non vengono ridotte nel numero procedendo ad una serie di fusioni. No, vengono tutte cancellate. Al loro posto ci saranno i collegi delle autonomie, termine usato per la prima volta da Luigi Einaudi. Qual è la differenza? Non ci saranno organi politici eletti: niente presidente, niente giunta, niente consiglio. Il collegio sarà composto semplicemente dai sindaci del territorio. Sarebbe così eliminato il voto popolare e si risparmierebbe sugli stipendi di assessori e consiglieri. Per il semplice taglio da 86 a 51 Province voluto dal governo Monti si era calcolato, considerando anche le voci indirette, un risparmio fra 370 e 535 milioni di euro l’anno. Con la cancellazione totale i numeri dovrebbero almeno raddoppiare. I confini? «Non disegneremo la mappa da Roma, lasceremo alle Regioni la libertà di decidere», spiega il ministro per gli Affari regionali Graziano Delrio. Tuttavia si partirà dalla cartina esistente: almeno nella fase iniziale i collegi delle autonomie coincideranno con il territorio delle attuali province. I loro compiti saranno limitati: pianificazione dell’ambiente, del territorio, del trasporto locale, più la gestione delle strade di competenza. Tutto il resto, dalla scuola alla cultura, passerà ai Comuni o alle Regioni. «A meno che spiega Delrio Comuni o Regioni non decidano di trasferire ai collegi alcune funzioni. Saranno liberi di farlo». Anche i dipendenti saranno redistribuiti tra Regioni e Comuni, seguendo il trasferimento delle funzioni. Nel tempo i 57 mila dipendenti delle Province scenderanno di numero. Ma il governo dice che non ci saranno esuberi, il processo sarà graduale e basteranno i pensionamenti. Nella riforma ci sono altri due punti importanti. Il primo è la razionalizzazione dei piccoli Comuni. Già oggi quelli al di sotto dei 5 mila abitanti devono allearsi fra loro per alcuni compiti. Chi farà un passo in più, creando una vera e propria unione dei Comuni, avrà più peso proprio nei collegi delle autonomie, le nuove Province. Vengono poi sfoltiti i cosiddetti enti di mezzo, consorzi e società varie che in tutta Italia arrivano a quota 7 mila. In ogni collegio delle autonomie non ce ne potrà essere più di uno per ramo di attività. La stima è che si possa arrivare alla cancellazione, tramite accorpamento, di almeno 2 mila società. Ma il discorso è complicato e vale la pena di ricordare che il governo Monti aveva fissato l’obbligo di chiudere e mettere a gara tutte le società degli enti locali. Ma il termine è stato appena rinviato alla fine di dicembre proprio dal governo Letta. Altre norme potranno aggiungersi dopo la lettura della sentenza della Corte costituzionale. Ma il percorso è lungo, pieno di tornanti. E le Province promettono battaglia, mettendo sul tavolo la carta della riduzione dei costi di tutta la politica, non solo di un pezzetto: «È inaccettabile dice il presidente dell’Unione delle Province, Antonio Saitta che il governo presenti un ddl costituzionale soltanto su di noi. Tutto ciò conferma che la politica non vuole riformarsi. E il dimezzamento dei parlamentari quando si farà?».

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