Le novità sull’incentivo per le funzioni tecniche (Parte II)

L’inserimento degli incentivi negli strumenti di programmazione e la questione dell’erogazione illegittima: seconda parte del focus sul tema del nostro esperto

8 Ottobre 2019
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Gli incentivi per le funzioni tecniche possono essere erogati solamente se l’opera è inserita nella programmazione di lavori pubblici e, per gli appalti di forniture e servizi, occorre ricordare la necessità della individuazione di un direttore dell’esecuzione come figura distinta rispetto al RUP ed ai suoi collaboratori. Sono queste le indicazioni dettate dalla deliberazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia, deliberazione n. 310/2019.

L’inserimento negli strumenti di programmazione

In premessa vengono riassunte le condizioni che legittimano l’erogazione di questi compensi:

  • il tetto massino è fissato nel 2% dell’importo posto a base di gara;
  • le attività incentivabili sono individuate in modo tassativo e non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica;
  • “per la retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti”;
  • una quota deve essere destinata, ove esistente, alla incentivazione del personale della centrale unica di committenza;
  • queste disposizioni si applicano per gli appalti di lavori pubblici, ma anche per le forniture e per gli appalti di servizi;
  • devono essere ritenute “incentivabili le sole funzioni tecniche svolte rispetto a contratti affidati mediante lo svolgimento di una procedura comparativa”;
  • sono necessari tanto la “preventiva approvazione, da parte dell’Amministrazione, di un regolamento interno”, quanto la “conclusione di un accordo di contrattazione decentrata in cui vanno regolati i criteri di ripartizione fra i dipendenti interessati”;
  • è previsto un “limite individuale alla corresponsione degli incentivi in parola, stabilendo che, complessivamente, nel corso dell’anno, un singolo dipendente non possa percepire emolumenti di importo superiore al 50% del proprio trattamento economico annuo lordo” con importi che sono “comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione”;
  • infine “gli incentivi per le funzioni tecniche non fanno carico ai capitoli della spesa del personale, ma devono essere ricompresi nel quadro economico del singolo contratto”.

Ci viene detto che, in modo maggioritario, i pareri delle sezioni di controllo della Corte dei Conti richiedono, come ulteriore condizione, “l’effettivo svolgimento di una delle attività tassativamente elencate dalla norma di riferimento.

Ecco la prima conclusione che viene tratta: “il ricorso alla prestazione incentivante deve risultare necessariamente coerente con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria dell’ente, con particolare riguardo al programma biennale degli acquisti di beni e servizi e alla programmazione dei lavori pubblici”.
Si deve inoltre ritenere che “non sia possibile procedere alla remunerazione degli incentivi per funzioni tecniche in assenza della descritta e necessaria fase della programmazione di acquisti e lavori pubblici (declinata all’art. 21 del d.lgs. n. 50/2016) e di una procedura comparativa”. Si deve subito ricordare che rimane “impregiudicata, per le amministrazioni aggiudicatrici, la facoltà di includere nei programmi anche interventi di importo inferiore”.

Passando ad un altro aspetto, leggiamo che questi “compensi incentivanti sono erogabili, in caso di servizi o forniture, solo laddove sia stato nominato il direttore dell’esecuzione”, cioè di regola solamente per quelli aventi un importo inferiore a 100.000 euro. A scanso di equivoci, leggiamo che non sono legittime “disposizioni derogatorie del predetto precetto normativo che riconoscano detto compenso anche per appalti aventi ad oggetto prestazioni di valore inferiore a € 500.000 o per i quali non sussista l’obbligo di nominare come direttore dell’esecuzione un soggetto diverso dal RUP”.

L’erogazione illegittima

Le amministrazioni che erogano un compenso illegittimo sono tenute a recuperare queste somme e non può essere loro opposto il divieto dell’utilizzo dello strumento dell’autotutela. Inoltre i compensi che fino al 2014 potevano essere erogati per la incentivazione del personale in caso di redazione di piani di pianificazione erano subordinati alla successiva realizzazione di un’opera pubblica. In questa direzione vanno le previsioni dettate dalla ordinanza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione n. 21424/2019.

Viene ricordato che le amministrazioni non “possono erogare ai propri dipendenti trattamenti economici non dovuti” e sono tenute “a ripristinare la legalità violata anche mediante il recupero di quanto corrisposto e ciò si può fare senza necessità di valutazione comparativa degli interessi che vengono in rilievo, perché in dette ipotesi l’interesse pubblico, che legittima il potere di autotutela, è da ritenere sussistente in re ipsa”.

La sezione autonomie della Corte dei conti con la deliberazione 7/2014 ha ritenuto che la incentivazione della progettazione urbanistica fosse incentivabile ai sensi delle previsioni del d.lgs. n. 163/2006 solamente se tale strumento è connesso alla realizzazione di un’opera pubblica. Questa lettura è fatta propria dalla sentenza della Cassazione, in quanto la logica complessiva della norma và in questa direzione e, quindi, “l’atto di programmazione deve porsi in stretta correlazione con il successivo intervento”.

Di queste disposizioni, che costituivano (nda ricordiamo che per i dirigenti e per la incentivazione della pianificazione urbanistica sono state abrogate dal d.l. n. 90/2014) una deroga rispetto al principio di carattere generale della onnicomprensività del salario accessorio “non sono suscettibili di una interpretazione analogica e delle stesse non può essere fornita una esegesi che, modificando la ratio legis, finisca per estendere il beneficio anche ad attività che il legislatore non ha inteso espressamente includere fra quelle meritevoli di incentivazione”.

La sentenza formula il seguente principio di diritto “l’articolo 92, comma 6, del d.lgs, n. 163/2006, a norma del quale il 30% della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito tra i dipendenti dell’amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto, va letto alla luce di quanto previsto dai commi da 1 a 5 della stessa disposizione nonché dall’articolo 90 del d.lgs. e pertanto è applicabile nei soli casi in cui l’atto di pianificazione sia prodromico e strettamente correlato alla realizzazione di un’opera pubblica”.

Ci viene detto che il principio della necessità di una valutazione comparativa tra gli interessi in rilievo per potere dare corso all’annullamento in autotutela “è stato da tempo superato, in tema di impiego pubblico, dalla giurisprudenza amministrativa”. Nel caso specifico non dobbiamo parlare di “autoutela, perché la giurisprudenza di questa Corte da tempo è consolidata nell’affermare che la natura privatistica degli atti di gestione dei rapporti di lavoro non consente alle Pubbliche Amministrazioni di esercitare il potere di autotutela, che presuppone la natura amministrativa del provvedimento e l’esercizio di poteri autoritativi. E’ stato aggiunto che, qualora l’atto adottato risulti in contrasto con la norma imperativa, l’ente pubblico, che è tenuto a conformare la propria condotta alla legge, nel rispetto dei principi sanciti dall’articolo 97 della Costituzione, ben può sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo ed in tal caso .. la condotta della PA è equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità”. In questi casi “il dipendente che intende reagire all’atto unilaterale adottato dalla PA, deve fare valere in giudizio il diritto soggettivo che da quell’atto è stato ingiustamente mortificato”.

Infine, “l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al dipendente, occorrendo anche la conformità alle previsioni della legge e della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la PA, a ciò tenuta in forza della previsione di cui al richiamato articolo 97 della Costituzione, deve ripristinare la legalità violata”

(2 – Fine) – Consulta la prima parte dell’articolo qu

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