Ampia facoltà dell’Ente di sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell’esito di quello penale

2 Aprile 2024
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L’Ente che abbia attivato un procedimento disciplinare che, per gli stessi fatti, abbia visto coinvolto un proprio dipendente anche in un procedimento penale, ha ampia facoltà di sospendere e riprendere il procedimento disciplinare, una volta divenuta irrevocabile la sentenza penale. Con questa motivazione la Cassazione (sentenza n. 7267/2024) ha confermato il licenziamento del dipendente per giusta causa.

La vicenda

Un Ente locale ha licenziato un proprio dipendente, a seguito del riavvio del procedimento disciplinare in precedenza sospeso, dopo la condanna irrevocabile comminata in sede penale. Il Tribunale di primo grado e la Corte di appello hanno respinto il ricorso del dipendente che aveva impugnato il licenziamento. La questione, quindi, è giunta in Cassazione dove il dipendente ha lamentato l’errore commesso dal giudice di appello nell’aver ritenuto legittima la sospensione del procedimento disciplinare in attesa dell’esito del processo penale, pur in assenza dei presupposti per tale sospensione, ovverosia la «particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente» e la mancanza di «elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione». Inoltre, ha dichiarato illegittima la riapertura del procedimento disciplinare per inutile decorso dei termini previsti dalla legge.

Il rigetto del ricorso

Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorso è infondato. Infatti, l’art. 55-ter, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 conferisce, alla Pubblica Amministrazione, un’ampia facoltà discrezionale nella scelta tra la prosecuzione del procedimento disciplinare, in pendenza del processo penale per i medesimi fatti e la sospensione del procedimento disciplinare. Il legislatore, d’altra parte, ha previsto la sospensione del procedimento disciplinare sia nell’interesse della pubblica amministrazione a recepire tutte le prove che saranno raccolte e formate nel processo penale, sia nell’interesse del lavoratore di poter beneficiare dell’eventuale assoluzione in sede penale e delle evidenze a discarico emerse in quel processo. Inoltre, la pendenza del procedimento penale, dimostra che sono in corso accertamenti sui fatti oggetto anche di contestazione disciplinare, il che rende quasi insindacabile la scelta della pubblica amministrazione di sospendere il procedimento disciplinare. Nel caso di specie, pertanto, correttamente i giudici di appello hanno affermato il «sensibile grado di discrezionalità» riservato alla pubblica amministrazione e richiamando la motivazione del giudice di primo grado, nella parte egli aveva opinato che «i fatti in questione ben potessero essere acclarati in sede penale, con la relativa sentenza, avuto più specifico riguardo alla sussistenza dell’elemento soggettivo».
In merito al periodo perentorio entro il quale può essere attivata la riapertura del procedimento disciplinare sospeso, previsto entro 60 giorni dalla definizione del processo penale, non può essere accolta la tesi del ricorrente secondo cui la decorrenza del termine sarebbe rilevante e sufficiente qualsiasi conoscenza della sentenza penale da parte della pubblica amministrazione, a prescindere dalla comunicazione della cancelleria del giudice che ha pronunciato quella sentenza. Anche in questo caso, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che la decorrenza dei termini dovesse farsi riferimento alla data in cui la cancelleria del giudice penale ha dato formale comunicazione all’ente locale. Il medesimo all’art. 55-ter, comma 4, del d.lgs. 165/01 prevede che la comunicazione debba essere ricevuta «da parte della cancelleria del giudice», periodo questo aggiunto dal d.lgs. 75/2017, ma che non ha effetto innovativo ma solo interpretativo.

Redazione Il Personale

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