Ci avevano detto che la corruzione è il primo male d’Italia e che dovevamo cominciare una guerra senza quartiere. La Corte dei conti aveva ipotizzato che il malcostume delle bustarelle pesa 60 miliardi di euro sul Pil e tutti giù a sgolarsi. Che scandalo, che vergogna! Trasparency International ci aveva messo alla gogna, settanduesimi in classifica, a pari merito con la Tunisia. Per fortuna, però, ci avevano anche detto che da ora in poi, con la nuova legge di contrasto alla corruzione, la 190, quella che ha fatto dilaniare l’ultimo Parlamento per anni, si cambiava musica. Ora la legge c’è. E si scopre che nessuno (o quasi) si è preoccupato di varare il fatidico Piano anticorruzione. Né a livello nazionale, né tra gli enti locali. Neppure il governo brilla per iniziativa: sono appena 4 i ministeri che hanno nominato il prescritto Responsabile anticorruzione. Si vede che Monti e i suoi ministri volevano lasciare l’incombenza ai successori. È di ieri il primissimo bilancio di applicazione della legge. Parla Romilda Rizzo, presidente della Civit, l’audit interno dello Stato a cui è stata affidata la supervisione su queste norme: «Alcune amministrazioni – riferisce onestamente la Rizzo – hanno provveduto con tempestività. Tuttavia, considerando il grande numero delle amministrazioni interessate, si può constatare che per applicare completamente la legge c’è ancora molto da fare». Eccome se c’è da fare. Entro il 31 marzo il governo avrebbe dovuto varare il Piano nazionale anticorruzione di validità triennale: non pervenuto. Lo stesso dicasi per i Piani regionali, provinciali e comunali. La Civit stessa all’ultimo istante utile ha fatto una circolare per piegare la scadenza da «perentoria» a «ordinatoria». Il che, in Italia, è la classica licenza di trasgredire sine die. Il dettaglio di chi ha fatto il proprio dovere e chi no, intanto, almeno nominando i responsabili anticorruzione, è impietoso: dei 4 ministeri s’è detto; 26 tra gli enti previdenziali, enti di ricerca e altri enti nazionali, 35 le università, 55 le camere di commercio, 42 le Province. Sembra andare un po’ meglio con gli ottomila comuni d’Italia. «Nonostante la mancanza ad oggi di una intesa in sede di Conferenza unificata, hanno individuato oltre 1.200 responsabili».Ma senza adottare contestualmente il Piano anticorruzione è troppo semplice individuare un responsabile purchessia e sentirsi in pace con gli adempimenti della legge. Curiosamente, le maglie nere, con appena l’1% dei Comuni in regola, sono la Puglia e il Trentino Alto-Adige. L’alfa e l’omega della nazione. E poi c’è la trasparenza, che a parole tutti promettono, ma che per paradosso rischia di diventare oscura. Sempre Romilda Rizzo avverte che con l’ultimo decreto legislativo saranno addirittura 200 gli «obblighi di trasparenza» per una pubblica amministrazione e che la Civit auspica una semplificazione «per evitare le ridondanze e per limitare l’aggravio di lavoro per le amministrazioni pubbliche», allo stesso tempo, però, rendendo «più fruibili le informazioni da parte dei cittadini».
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