Basta tabù sui dipendenti pubblici licenziamenti come nel settore privato

Giampaolo Galli, direttore generale di Confindustria: “È socialmente doloroso ma equo”

Marcello Serra 4 Gennaio 2012
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Licenziabilità anche per i dipendenti pubblici. Lo chiede Gianpaolo Galli, direttore generale di Confindustria, convinto che non sia possibile parlare di tagli alla spesa pubblica e di modernizzazione dello Stato senza far cadere il tabù della licenziabilità degli statali. «Dovremmo porci anche questa prospettiva» perché lo Stato, ragiona Galli, «è un´azienda in crisi, dunque deve gestire la crisi come farebbe un´impresa privata ricorrendo alla mobilità, anche esterna se necessario».
Tutte norme però che sono state appena introdotte anche nel comparto statale, compreso il licenziamento. Non bastano?
«È vero, le norme ci sono, ma devono essere attivate e questo ancora non accade. Ci sono amministrazioni pubbliche che hanno troppi dipendenti rispetto alle effettive necessità, altre che ne hanno pochi. Vanno riequilibrate là dove è possibile, ma se i lavoratori dopo un certo periodo di tempo non accettano il trasferimento, credo sia necessario applicare norme simili a quelle delle aziende private».
Cioè licenziare?
«È molto difficile pensare ai tagli e alla riorganizzazione della macchina statale senza parlare di mobilità anche all´esterno. Il punto è che i redditi dei dipendenti pubblici sono oltre 170 miliardi di euro, più della metà della spesa corrente al netto degli interessi e delle prestazioni sociali. E la spesa va tagliata se non si vuole che l´economia soffochi per troppe tasse. Ad esempio non si può pensare di abolire le Province lasciando del tutto immutato il costo del personale».
Dove taglierebbe lei?
«Questo è compito della spending-review. Ma credo sia bene farlo dovunque ci siano storture e esuberi, ministeri, Comuni, Regioni. È un lavoro che va portato avanti analizzando caso per caso. Non si possono immaginare operazioni fatte con l´accetta».
Ci vuole tempo per farlo e c´è il rischio di creare tensioni sociali.
«Certo è socialmente doloroso, ma va fatto e anche per un discorso di equità. Penso non sia equo che i costi della crisi cadano solo su imprese e lavoratori del settore privato. Devono pesare anche sul settore pubblico».
Gli statali stanno pagando da tempo un prezzo alto con il blocco della contrattazione.
«Ma gli stipendi degli statali negli ultimi anni sono cresciuti più che nel settore privato. Aggiungo che il dualismo del mercato del lavoro che il governo Monti ha detto di voler contrastare è molto più forte nel settore pubblico che nel privato. Nelle amministrazioni pubbliche c´è il massimo della protezione per chi ha un contratto a tempo indeterminato e c´è la più alta concentrazione di precarietà».
Via il tabù dei licenziamenti nel pubblico dunque.
«Il riequilibrio delle tutele che si vuole realizzare con la riforma del mercato del lavoro non può assolutamente riguardare solo il settore privato».

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