Il blocco della contrattazione collettiva degli statali ha avuto una durata irragionevole e dunque deve cessare. Sembra questa, in estrema sintesi, la motivazione che ha portato allo stop deciso ieri dalla Corte costituzionale, non tanto sulla base dell’articolo 81 della Costituzione (e cioè per le conseguenze sul bilancio dello Stato paventate dal governo e quantificate addirittura in 35 miliardi di euro) quanto, piuttosto, per la durata intollerabile che il blocco della contrattazione – in sé e per sé non irragionevole in un contesto di emergenza finanziaria – ha assunto dal 2010 ad oggi. Perciò, fatto salvo il passato, la Corte ha detto basta e ha accompagnato lo stop, più che con un monito, con una vera e propria messa in mora del governo a riaprire la contrattazione, poiché un ulteriore ritardo non sarebbe accettabile e potrebbe avere conseguenze ben più pesanti.
Se questo è il filo del ragionamento, si comprende perché la Corte abbia dichiarato la «sopravvenuta» illegittimità costituzionale del «regime del blocco» risultante dalle norme «impugnate» (del 2010 e del 2011) e da quelle successive che lo hanno prorogato (legge di stabilità per il 2015). Il quadro complessivo emerso da queste misure, infatti, è quello di una tendenza alla stabilizzazione, come tale non compatibile con la Costituzione e che quindi va stoppata.
Stavolta non c’è stata la spaccatura consumatasi in occasione della sentenza sull’indicizzazione delle pensioni. Il verdetto, a quanto pare, è stato unanime, anche se, in partenza, sul tavolo sono state messe soluzioni diverse e non tutte conciliabili. Eppure, si è trovata una sintesi.
A decidere sono stati ancora una volta soltanto 12 giudici su 15 (i due che mancano all’appello non sono stati ancora eletti dal Parlamento in mancanza di un accordo politico). Peraltro, a causa dell’indisposizione di Giuseppe Frigo, è stato “recuperato” in extremis Paolo Maria Napolitano, in scadenza il 10 luglio, che già da qualche mese non partecipava più alle udienze. La sua presenza, pertanto, imporrà alla relatrice Silvana Sciarra di scrivere rapidamente la motivazione e alla Corte di depositare la sentenza entro il 10 luglio per consentire a Napolitano di approvarla.
Non bisognerà, quindi, aspettare a lungo. Dalle poche indiscrezioni filtrate da palazzo della Consulta e dalla lettura del comunicato stampa, si può ritenere che la Corte, alla luce delle proroghe, abbia ritenuto – allo stato – eccessiva e, dunque, intollerabile la durata del blocco della contrattazione. Niente a che vedere con lo schema adottato in occasione della decisione sulla Robin tax (n. 10 del 2015), nella quale un peso quasi decisivo lo aveva avuto l’articolo 81, per l’entità dell’eventuale rimborso, «tale da determinare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva». Anche se in entrambi i casi l’incostituzionalità decorre soltanto dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, stavolta è prevalsa la valutazione sull’eccessiva durata del blocco. La cui costituzionalità era, per così dire, transitoria, in quanto strettamente legata a un’emergenza economico-finanziaria che avrebbe dovuto avere durata determinata, e non indeterminata come, invece, nei fatti è accaduto. Ecco perché l’illegittimità del blocco è «sopravvenuta» e non tocca il passato. Ed ecco perché il governo dovrà sbloccare al più presto la contrattazione.
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