Se due negazioni affermano, due semplificazioni complicano. Lo schema di decreto sviluppo, alla ricerca della riduzione degli adempimenti burocratici, così come vuole il ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, crea non poca confusione nell’ambito della procedura di gara d’appalto, rendendo inestricabile le modalità con le quali controllare il possesso in capo alle imprese aggiudicatarie dei requisiti di moralità, tecnici e finanziari per poter stipulare il contratto.
Da un lato, infatti, il decreto intende eliminare le certificazioni come mezzi di comprova del possesso di determinati requisiti, da utilizzare per entrare in contatto con la pubblica amministrazione.
L’articolo 61 dell’attuale schema del decreto dispone espressamente che le certificazioni rilasciate dalla p.a. in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili «solo nei rapporti tra privati». Aggiungendo, con coerente consequenzialità che «nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni» sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà.
Per completare l’opera, il decreto impone, a pena di nullità, di inserire in ogni certificato la dicitura attestante che il documento non possa essere prodotto agli organi della p.a., obbliga a effettuare i controlli delle dichiarazioni mediante accesso diretto alle banche dati, prevedendo sanzioni nei confronti dei dirigenti che manchino di rispettare il precetto.
Tuttavia, l’articolo 89 del decreto modifica l’articolo 48 del dlgs 163/2006, norma finalizzata a regolamentare i controlli sui requisiti delle imprese appaltatrici. Allo scopo di velocizzare tale passaggio, si stabilisce di limitare alla sola impresa aggiudicataria le verifiche, e non più di estenderle anche alla seconda in graduatoria.
Infatti, si inserisce un comma 2-bis nell’articolo 48, ai sensi del quale «le stazioni appaltanti richiedono al solo operatore economico aggiudicatario la presentazione della documentazione probatoria dei requisiti».
Ma è qui che emerge la contraddizione in termini. Nel caso degli appalti quanto stabilito prima sul valore delle dichiarazioni sostitutive non vale più. Perfino i certificati riacquistano il loro potere probatorio in via esclusiva. Molti dei requisiti richiesti all’aggiudicatario sono comprovati proprio da certificati: altro non è, infatti, il Durc, ma anche il casellario giudiziale o l’attestazione del rispetto delle norme sul diritto al lavoro dei disabili. Per effetto del decreto sviluppo, tuttavia, quei certificati non potrebbero essere esibiti alle pubbliche amministrazioni e dovrebbero essere dotati, del resto, della dicitura vista sopra.
Per acquisire, dunque, la documentazione a comprova del possesso dei requisiti, i dirigenti delle pubbliche amministrazioni non potrebbero che violare le norme sulla semplificazione disposte dal decreto.
Un cortocircuito che può risolversi solo imponendo la messa in rete telematica di tutte le banche dati e prevedendo sempre e solo l’accesso diretto, senza oneri, delle amministrazioni che gestiscono le procedure ai dati posseduti dalle amministrazioni da consultare. In mancanza di questo, il rischio è che la semplificazione, giusto obiettivo da perseguire, rimarrà sempre un proclama giustissimo, ma difficile da realizzare concretamente.
Luigi Oliveri
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