Il Governo affonda il bisturi nella carne delle Province un centimetro più in basso del previsto. E si avvia a cancellarne 35 anziché 34 come anticipato ieri su questo giornale. Per effetto del decreto approvato durante la sessione mattutina del Consiglio dei ministri, dal 2014, gli enti di area vasta delle Regioni ordinarie passeranno da 86 a 51, incluse le 10 città metropolitane. Ma un antipasto del taglio si avrà già dal 1 gennaio 2013 quando decadranno tutte le giunte locali. Sul risultato complessivo della riorganizzazione pesano però due interrogativi: le autonomie speciali attueranno la stretta? E il Parlamento riuscirà, in sede di conversione, a respingere le spinte campanilistiche? Dalla risposta a questi due quesiti dipenderà l’impatto dell’intera operazione-Province. Sia economico, visto che per ora non sono cifrati i risparmi; sia in termini di equità, poiché il mancato adeguamento di alcune realtà renderebbe ancora più veementi le proteste delle altre, costrette dal Dl a stringere unioni forzate. E i segnali giunti fin qui non promettono nulla di buono. A parte la Sardegna (dove un referendum popolare ha deciso di ridurre da 8 a 4 gli “enti di mezzo”) le altre “super-autonomie” non si sono ancora poste il problema di avviare l’iter che, in base alla spending, dovrà concludersi entro il 7 gennaio sulla base dei due requisiti decisi dall’Esecutivo: 350mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione. Senza contare che, nel corso della conferenza stampa di presentazione delle misure, il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, si è limitato a dire: «Ci occuperemo in seguito delle speciali». Pur definendo «irreversibile» l’intero processo in atto. Stesso discorso per le Camere che già a luglio hanno dovuto respingere richieste di eccezioni di ogni tipo. Ed è presumibile che il copione si ripeta identico nelle prossime settimane vista la levata di scudi già partita lungo la penisola. Con formule diverse appelli al premier, minacce di ricorso alla Consulta, proposte di passare alla Regione limitrofa e, addirittura, interviste concesse sul water ma un unico obiettivo: ottenere l’agognata deroga. Anche perché alcuni distinguo sono stati operati dallo stesso decreto: Sondrio e Belluno escluse perché montane al 100% e Arezzo “salvata” dai dati anagrafici in quanto superiori all’ultimo censimento Istat. Rimandando alla cartina accanto per capire come cambierà dal 2014 l’intera geografia provinciale, qui appare opportuno sottolineare alcune novità rispetto alla bozza del giorno precedente. In primis in Lombardia, dove Lodi va con Cremona e Mantova, oppure in Toscana, dove nasce la maxi-Provincia di Lucca-Massa-Pisa-Livorno e Pistoia confluisce insieme a Prato nella città metropolitana di Firenze. E, restando alle città metropolitane, va segnalata un’altra novità rispetto ai desiderata dei territori: Padova non confluirà in Venezia ma si unirà alla Provincia di Treviso. E due conferme: Milano che acquista Monza-Brianza e Bari che non “vince” la Bat. Barletta-Andria-Trani finirà infatti con Foggia. Tra gli altri cambiamenti rispetto al testo d’ingresso in Cdm va segnalata la retromarcia innestata sulla composizione dei futuri consigli provinciali. In attesa della sentenza della Consulta prevista per il 6 novembre, è stata eliminata la modifica all’articolo 23 del salva-Italia che li trasforma in organi di secondo livello eletti dai Comuni del circondario. Anziché salire fino a 16 per gli enti con più di 700mila abitanti, come immaginato in un primo momento, il numero massimo di membri eleggibili resta fermo a 10. E lo stesso limite varrà anche per le città metropolitane. Passando alle altre disposizioni degne di nota spicca la conferma della previsione che vuole l’indizione delle nuove elezioni in una domenica compresa tra il 1 e il 30 novembre 2013. E ciò sia che l’amministrazione resti in vita sia che scompaia. Fermo restando che il mandato del presidente e dei consiglieri attualmente in carica scadrà il 31 dicembre, a meno che l’ente non venga sciolto. In quel caso arriverà il commissario ad acta governativo. Vita più breve avranno invece gli assessori che decadranno dalla carica all’inizio del 2013; al loro posto il numero uno dell’ente potrà delegare alcune funzioni a massimo tre consiglieri. Una stretta aggiuntiva che non è piaciuta all’Upi, già critica per le «forzature» operate su alcuni territori. L’ultima curiosità riguarda i futuri capoluoghi. In teoria saranno tali gli enti più popolosi. A meno che un diverso accordo dei sindaci, preso anche a maggioranza, non porti a una soluzione alternativa. Con conseguenze non da poco anche sulla vita di consiglieri e dipendenti. Durante l’ultimo miglio a Palazzo Chigi il testo si è arricchito della precisazione che gli organi dell’ente saranno ubicati nel capoluogo e non ci saranno sedi decentrate.
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