Dai precari un colpo alle province

Marcello Serra 26 Ottobre 2013
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Il disarmo delle province si avvia con la normativa per la stabilizzazione dei precari. Gli emendamenti approvati alla camera alla legge di conversione del dl 101/2013 avviano, indirettamente e di fatto, la smobilitazione delle province con norme specificamente rivolte al precariato delle amministrazioni provinciali. La prima disposizione che salta all’occhio è il nuovo ultimo periodo introdotto nell’articolo 4, comma 6, del decreto, esattamente la norma che regola la possibilità di assumere a tempo indeterminato i precari. Il nuovo periodo dispone che «il personale non dirigenziale delle province, in possesso dei requisiti di cui al precedente periodo, può partecipare a una procedura selettiva di cui al presente comma indetta da un’amministrazione avente sede nel territorio provinciale, anche se non dipendente dall’amministrazione che emana il bando». La norma risponde sostanzialmente alla questione se le province, alle quali è vietato assumere personale a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 16, comma 9, del dl 95/2012, convertito in legge 135/2012, possano o meno effettuare stabilizzazioni. E la risposta è negativa. I precari dipendenti dalle province non avranno la possibilità di partecipare a procedure di stabilizzazione indette dalle amministrazioni provinciali presso le quali prestano l’attività lavorativa. In compenso, sarà consentito loro di concorrere alle procedure selettive di stabilizzazione di altre amministrazioni ricadenti nel territorio provinciale. Uno strano caso, a ben vedere, di stabilizzazione «per conto terzi»: se il percorso che porta all’assunzione a tempo indeterminato del personale flessibile si basa sul riconoscimento della professionalità acquisita, non si capisce come possa un ente considerare acquisita la professionalità prestata presso un altro ente. I lavoratori precari delle province diverrebbero una variabile impazzita delle procedure di stabilizzazione, tendenzialmente selettive solo di nome, ma già mirate, innescando una vera e propria concorrenzialità nelle procedure concorsuali, anche se ci sarebbe da capire quali possano essere le loro concrete chances di assunzione. Che le province non possano attivare stabilizzazioni lo dimostra anche il ritocco al comma 6-quater dell’articolo 4, introdotto in prima lettura dal senato. Tale comma ha ripristinato le stabilizzazioni a semplice domanda, senza concorso, a beneficio dei lavoratori che in applicazione dell’articolo 1, comma 560, della legge 296/2006, avevano vinto specifici concorsi per posti di lavoro a tempo determinato, riservati a lavoratori che fossero stati impiegati per almeno un anno mediante contratti di collaborazione coordinate e continuativa. Il testo del comma 6-quater approvato dal senato consentiva a tutte le amministrazioni locali, province comprese, di trasformare tali contratti a condizione che gli interessati avessero prestato servizio per un triennio nell’ultimo quinquennio. Invece, l’emendamento approvato alla camera riserva questa possibilità solo ai comuni e alle regioni. Inoltre, restringe le possibilità di assunzione al rispetto dell’effettivo fabbisogno, delle risorse finanziarie disponibili, delle regole del patto di stabilità interno e dei vincoli normativi assunzionali e in materia di contenimento della spesa complessiva di personale, oltre che del tetto di spesa per personale flessibile (il 50% della spesa del 2009), previsto dall’articolo 9, comma 28, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010.

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