Il trasferimento dei dipendenti delle province alle regioni non comporterebbe un incremento degli stipendi e dei costi del personale. Il problema della destinazione dei dipendenti provinciali è uno tra quelli più rilevanti, connessi al complicato disegno di svuotamento e successiva abolizione delle province. Una tra le alternative possibili (licenziamento, trasferimento ad altri enti) è il loro passaggio alle regioni, possibile in base all’attuale testo dell’articolo 1, comma 96, del ddl Delrio. Tuttavia, in molti (compreso l’allora ministro della funzione pubblica Patroni Griffi) sostengono che il passaggio dei dipendenti provinciali ai ranghi regionali comporterebbe un aumento della spesa pubblica, poiché il costo medio del personale delle regioni è di circa il 23% superiore al costo medio del personale delle province. Tale assunto è, però, infondato. Esso, in primo luogo, suscita l’impressione che nelle regioni si applichi un contratto collettivo differente da quello delle regioni. Ma non è così: a entrambi gli enti si applica la contrattazione collettiva nazionale del comparto regioni-autonomie locali. Il maggior costo del personale regionale non discende dall’applicazione di un contratto diverso, ma dalla presenza di un maggior numero di dirigenti e funzionari di elevato livello retributivo; a ciò si affianca l’elevatissimo numero di concorsi interni e progressioni orizzontali (cioè aumenti di stipendio) effettuati a partire dal 2001 da parte delle regioni, che hanno appunto portato verso l’alto le categorie giuridiche e stipendiali. In ogni caso, il pericolo di incremento dei costi non sussiste, per due ragioni. In primo luogo è operante il congelamento delle retribuzioni individuali e dei fondi della contrattazione decentrata, disposto dall’articolo 9, commi 1 e 2-bis, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010, i cui effetti sono stati prorogati almeno fino al 31.12.2014 dal dpr 122/2013 e dalla legge 147/2013. Il comma 1 del citato articolo 9 del dl 78/2010 stabilisce che il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010. La disposizione, dunque, impedisce radicalmente non solo alle regioni, ma a qualsiasi amministrazione dovesse acquisire personale provinciale, di assegnare un trattamento economico superiore a quello in godimento alle dipendenze delle soppresse province. Per altro, per un incremento del trattamento economico occorrerebbe necessariamente o un concorso pubblico con riserva di posti per accedere a una categoria maggiore (progressione di carriera), o una progressione orizzontale (incremento stipendiale): ma entrambi gli istituti sono congelati dal comma 21 sempre dell’articolo 9 citato. Il cui comma 2-bis fa divieto alle amministrazioni di aumentare la dotazione finanziaria dei fondi per la contrattazione decentrata, rispetto al 2010. In secondo luogo, l’articolo 1, comma 95, lettera a) del ddl di riforma delle province contiene una norma espressa di salvaguardia: «Il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata». Dunque, i trattamenti economici restano congelati anche per espressa volontà del legislatore, che estende il congelamento anche agli emolumenti legati alla performance.
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