L’abuso dello strumento societario costituisce danno nei confronti delle casse comunali.
Questo è il principio affermato dalla Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale, con la sentenza n. 401/2011 (su cui si veda anche Il Sole 24 Ore del 5 gennaio).
Nel caso la Corte, ribaltando le precedenti assoluzioni, ha condannato gli amministratori del Comune e della società per la costituzione e la gestione antieconomiche della partecipata, avendo rappresentato queste, fra l’altro, una delle cause del successivo dissesto dell’ente.
Il rilievo della decisione sta tutta nel suo percorso motivazionale. Il Collegio ha aderito alla tesi accusatoria che muoveva dall’assunto che la società, al contrario di quanto affermato nello statuto e negli atti costitutivi, non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi dell’ente, ma per perseguire scopi occupazionali, estranei alle regole di economicità e buona amministrazione.
Dagli atti è emerso che la costituzione della società ha avuto come unico obiettivo la tutela dei posti di lavoro di cassintegrati, Lsu e addetti ai cantieri scuola, al punto che il suo presidente ha formalmente invitato l’amministrazione a mantenere un adeguato livello occupazionale, individuandovi lo scopo essenziale della società.
La Corte non ha addebitato ai convenuti la mancata adozione di altre soluzioni economicamente più vantaggiose, quanto una scelta che in sé avrebbe potuto essere legittima e vantaggiosa per l’ente, ma solo se non fosse stata compiuta ab origine e poi perseguita, al solo fine di produrre un vantaggio occupazionale.
Si specifica, inoltre, che un fine occupazionale, pur presente nella legislazione (articolo 10 del Dlgs 468/1997), non può essere perseguito alterando le regole di sana ed economica gestione, ma è legittimo soltanto se compatibile con gli equilibri di bilancio della società e del Comune.
Nel caso il danno erariale trova la sua fonte in una gestione dissennata della società che ha sostenuto spese di personale incompatibili con le sue capacità economiche, piegando l’organizzazione al perseguimento di fini estranei allo (finto) scopo sociale. L’analisi dei flussi finanziari ha mostrato come le perdite della società si siano risolte in un danno per le casse comunali; il Comune ha riconosciuto alla società non solo il corrispettivo previsto nei contratti di appalto, ma anche ulteriori provviste finanziarie.
Dalla vicenda si possono trarre anche alcune considerazioni di carattere generale.
I veri costi della politica, verosimilmente, si annidano in situazioni come queste e non tanto e non solo nei costi diretti degli apparati, che vanno comunque drasticamente ridotti.
Si può ipotizzare, infine, che nel campo della finanza pubblica si stiano affacciando concetti simili all’abuso del diritto di origine fiscale, finalizzati a evitare l’utilizzo strumentale di istituti di per sé legittimi, ma che diventano anomali se il loro unico scopo sia quello di eludere vincoli di finanza pubblica e norme di contenimento della spesa.
Luciano Cimbolini
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento