Massima
Il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi “in re ipsa” e perciò deve essere debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici.
Fatto
In due gradi di giudizio è stata confermata al sentenza di condanna della predetta una società al risarcimento del danno non patrimoniale cagionato ad un dirigente a causa della condotta vessatoria posta in essere dal legale rappresentante della società.
E’ stato rilevato che i fatti dedotti dal ricorrente a fondamento della pretesa risarcitoria e relativi alla condotta offensiva e vessatoria posta in essere in suo danno dal legale rappresentante della società, fossero state provate, così come la condotta datoriale, quanto alle ripetute offese sulla presunta omosessualità del dirigente.
E’ stato escluso che la condotta fosse solo espressione di un clima scherzoso nell’ambiente di lavoro, avendo al contrario rilevato che la condotta medesima, in quanto ripetutamente posta in essere dal titolare della società nei confronti di un dipendente esprimesse un atteggiamento di grave mancanza di rispetto e quindi di lesione della personalità morale del lavoratore; sebbene il dipendente avesse qualifica dirigenziale, era comunque in una condizione di inferiorità gerarchica (e, difatti, mai aveva reagito alle altrui offese).
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